Il socio Benito Colonna (Toni), ex Macchinista FS, classe 1937, nato e residente nella frazione cittadina di Rivabella, dalla sua inesauribile miniera di ricordi, rammenta un laghetto presente un tempo nella località, nonché l'utilizzo che si faceva di questo specchio lacustre.
Nella zona di Rivabella, a monte della strada che costeggia il mare, via Toscanelli, all'incirca all'altezza dell'albergo Sara, fino al piazzale antistante la chiesa, i tedeschi avevano scavato un enorme fossato, largo una decina di metri, lungo poco più del doppio e profondo più di tre, per estrarre la sabbia necessaria alla costruzione di vari fortini in zona. Lo scavo, riempitosi con l'acqua sorgiva che sgorgava spontanea dal fondo, è presumibile che fosse stato realizzato in quel modo anche per un secondo fine: cioè creare un ostacolo all'avanzata dei mezzi corazzati alleati.
Il prosieguo di tale ostacolo era garantito verso monte, fino alla ferrovia della linea Rimini - Ravenna, da un campo minato antiuomo (poi bonificato negli anni 1947 - 1948). In questo stagno, che la gente del luogo chiamava lago di Dadoni (leg ad Dadoun), in quanto sorgeva sul terreno di tale contadino, i pescatori della zona, i Conti, avevano immerso nell'acqua un contenitore di legno, tutto chiuso a eccezione delle feritoie appositamente realizzate per la circolazione interna dell'acqua, senza peraltro permettere alle anguille pescate in mare, lì introdotte, di fuoriuscire. Nella parte superiore esisteva una botola chiusa. Questo capace recipiente, a forma di barca, era denominato marotta, serviva per conservare le anguille catturate fino al periodo di maggiore richiesta le festività natalizie.
Questo stagno, dalle acque sorgive, aveva un condotto che passando sotto la strada (via Coletti) e scaricava a mare l'acqua in eccesso. I Conti l'avevano popolato di piccoli cefali e anguille che, data l'abbondanza di pastura, crebbero a dismisura in numero e dimensione. Annualmente nell'acqua del laghetto veniva messa a bagno la canapa a macerare, per poi batterla e ricavarne fibre da utilizzare per farne corde e stoffe.
Per noi ragazzi, ma anche per gli adulti, quello era un momento speciale. Una volta iniziato il processo di macerazione, la pianta rilasciava un umore che stordiva le anguille e pesci, i quali venivano in superficie boccheggiando, diventando facile preda delle nostre fiocine.
Benito Colonna

Marotta