IL PASSATO DI UN RIONE CITTADINO

Gino Arcangeli 1926 - 2007, già pugile, falegname, assessore comunale negli anni del boom, ha lasciato memorie sugli anni trascorsi nell'anteguerra nel rione Ducale (della Castellaccia) In questo scritto fa un quadro della struttura sociale che la caratterizzava.

Una little Napoli a Rimini: non si può capire la Castlaza senza descrivere le sue istituzioni: bordelli, dormitorio pubblico, botteghe di falegname, stalle, ospedale, ecc., tutte concentrate in un territorio limitatissimo, in uno spazio ristretto, un vero e proprio formicaio umano, una sorta di piccola Napoli, molta miseria e una certa solidarietà.

Cominciamo dall'istituzione più chiacchierata: le case di tolleranza. Ce ne erano cinque: la Dora (via Palatoio), la Renata (via Clodia), la Strana, la Villetta e il piccolo Eden. Dalla Dora, quando noi bambini avevamo fame, suonavamo il campanello e lei ci faceva cucinare le patate lessate condite con l'olio! (olio che in casa non si vedeva mai!). Lasciate queste case, le donne anziane rimanevano a vivere nel quartiere ed erano considerate e frequentate come tutte le altre.
Il lavatoio - altra istituzione - era vicino alla Porta Galliana. In via Bastioni, con le sue lavandaie, lavoranti in proprio o conto terzi; lì si lavava di tutto, dalle divise dei militari ai panni delle donne occupate nei casini.

Il dormitorio comunale, in via Cavalieri 46, era composto da 21 posti letto suddivisi in tre camerate, tra le quali c'era quella degli scavati (i più malandati); il custode: Arcangeli, mio padre; ospiti: emarginati, barboni e gente che viveva di piccoli espedienti, ladruncoli, alcolizzati, gente di una umanità eccezionale, che la sera tornando al dormitorio portava a noi bambini le caramelle, donandocele con tanta gioia. Tutti personaggi accuditi dalla moglie del custode, cioè mia madre. Tra i frequentatori personaggi come: Bigulin, Gigin il giornalaio, Catarneina che trasportava le medicine dalla farmacia all'Ospedale con un cestino, Putac, Limon famoso ladro di biciclette.

Nel refettorio del dormitorio la sera facevano le prove i componenti della fanfara dei bersaglieri in congedo. Sotto il Dormitorio c'era il Padaion, gestito dall'ECA, che distribuiva gratuitamente la minestra ai poveri della città; agli altri la cedeva a pagamento e, specialmente il venerdì, la specialità era con pasta e ceci (veniva acquistata anche da qualche famiglia benestante), poi c'era la scoppola, cioè la minestra che rimaneva nel pentolone, veniva distribuita a esaurimento e per averla bisognava fare la fila, con la casseruola in mano (un bidoncino della conserva, che aveva come manico un filo di spranga), il cucchiaio di solito era tenuto infilato nella cintola.

Le stalle dei carrettieri, in via Bastioni, un ambiente unico all'interno del quale ognuno aveva il ricovero per un cavallo. Erano carrettieri e con il biroccio andavano a caricare la sabbia e la ghiaia nel fiume, mentre i vetturali avevano le stalle in casa. Il Mattatoio, il macello comunale, fra le vie Bastioni e Cavalieri, con il retro dava sulla piazzetta del casino della Dora. I falegnami, di botteghe ce ne saranno state una ventina, lavoravano quasi tutte per Zangheri (antifascista, come tutti gli altri falegnami).

La Castlaza, era antifascista senza incertezze: quando arrivava la Festa del Fascio, o qualsiasi altra importante ricorrenza, portavano in guardina, per un giorno o due, gli antifascisti più noti (Gigin, Rodogasio, ecc). Quello della Castlaza non era solo un antifascismo parlato ma militante, attivo, ha sempre covato nelle botteghe dei falegnami, da Vienna, Cherubini (perseguitato), Nucci, Gramanti (con la sua radiolina sentivamo il concittadino Marconi da Barcellona, durante la guerra civile in Spagna).

Dopo l'8 settembre, nella Castellaccia si raccolgono le armi dalle caserme abbandonate, si stivano nelle cassette costruite nelle falegnamerie e si nascondono nel pozzo di Rastluon, nelle buche e nelle stesse botteghe dei falegnami (armi poi inviate all'VIII brigata partigiana).
L'Ospedale, vera e propria industria della Castellaccia, con padre Angelo e suor Pia Antoni, una religiosa dalla figura pingue, padrona assoluta della sala operatoria; la mortuaria si affacciava su via Cavalieri, noi ragazzi spesso curiosavamo attraverso le grate delle finestre. Tra via dell'Ospedale e via Tonini c'era il Centro Anticeltico, dove trovavi la fila della gente colpita dalla sifilide e dallo scolo.

Osterie: Il rione poteva contare su ben otto osterie: Brighi con trattoria in via Farini, Capétul in via Santa Maria al Mare, Cavéc in via Clodia, nei cui pressi si trovava una fontana a pompa e la fabbrica del ghiaccio (giaz) di Fanelli, Ghinelli in via Santa Maria al Mare, Tonini Livia in piazza Ducale.
La scuola elementare, la III, IV e V le ho frequentate alle Celibate, davanti al Duomo. Lì, nella stessa classe, c'erano ragazzi della Castlaza, del Borgo Marina e del Centro, di tutti i ceti, e ha rappresentato per molti di noi l'inizio di un'amicizia che non si è più scomposta.

Io ho iniziato subito a lavorare, mentre facevo le elementari, eravamo nel '33, durante la seconda elementare ho cominciato a lavorare nella bottega di Raul Vienna e ci sono rimasto fino al 1941; la mia scuola: la strada e la bottega. I figli dei poveri non avevano neanche la divisa da fascisti, era un lusso che non si potevano di certo permettere.
Il Marecchia: quando nel dopoguerra sono diventato assessore, trovandomi a operare per risolvere il problema dello smaltimento delle acque di rifiuto, mi sono sentito particolarmente impegnato, avevo sotto gli occhi la trasformazione del fiume, che era diventato una fogna. Anche il mattatoio scaricava lì. Pensare che da bambini ci facevamo il bagno nudi, dopo pranzo.

Gino Arcangeli