MILITARI ITALIANI INTERNATI

Elio Biagini (1923 - 2005) già ferroviere con la qualifica di Capo Treno e Sindaco Revisore al DLF Rimini, lasciò sue memorie sulle vicissitudini che lo coinvolsero da militare durante la seconda guerra mondiale: prima in territorio albanese, poi dopo la cattura da parte dei tedeschi nel campo di concentramento di Kaisersteinbruch (Austria) dove, dopo il ricovero nel padiglione ospedaliero per un principio di congelamento ai piedi, una volta guarito venne trasferito nelle baracche del campo.

Appena arrivato al campo i soldati che mi scortavano mi consegnarono al capo di una baracca il quale mi indicò dove sistemarmi, prendendo un posto in uno dei tanti letti a castello presenti nella vasta camerata. Mi resi subito conto della cruda realtà che mi attendeva, le persone che incontrai erano segnate dalla sofferenza, dai visi pallidi e scarni, ebbi l'impressione di trovarmi in un girone dantesco. Presi un pagliericcio dove al posto della paglia c'era solo della pula, chissà quanti avevano dormito in quel giaciglio, mi fu consegnata anche una specie di coperta, mi arrampicai fino al quinto letto superiore per trovare posto, sistemai il pagliericcio, mi stesi coprendomi con quella specie di coperta.

Intristito meditai a lungo, andando con il pensiero ai miei cari, a Dio e mi addormentai. Alle sette avemmo la sveglia, le guardie ci ordinarono di essere lesti e ci mettemmo in fila per ricevere una brodaglia nera chiamata caffè. Terminata la colazione, ci intrupparono in plotoni e si marciò per circa un'ora. Al rompete le righe rientrammo in baracca per riassettare il giaciglio dove si era passata la notte, ultimata la sistemazione di nuovo in cortile per conoscere l'ordine del giorno che stabiliva i gruppi di lavoro. Io non facevo parte di nessun gruppo perché figuravo nella lista dei deperiti cioè in convalescenza. Era ancora presto per assegnarmi un lavoro.

Verso le ore 11 avvenne la distribuzione del pane, di segale nera, con una pagnotta si facevano sei razioni, tutti gli occhi erano puntati su colui che divideva il pane, preoccupati di ricevere la razione più piccola. Fra gli internati uno aveva fabbricato una piccola bilancia per pesare le razioni, in modo che la distribuzione si rilevasse equa. Oltre al pane veniva consegnata anche una piccola fetta di margarina che si spalmava sul pane e in un attimo si divorava quella unica razione per tutta la giornata.

Vi era anche il rancio che, fatta la fila, consisteva nel ricevere una poltiglia risultata dalla rimanenza dopo l'estrazione dello zucchero dalla barbabietola, che veniva cotta mischiata con acqua. Questa specie di minestra era detta: Giuliana. Noi deperiti, di norma rimanevamo nelle baracche ma avevamo delle ore in cui si veniva inquadrati per fare ginnastica e marciare attorno al campo, questo ci dicevamo per tenerci in forma. Quando scendeva la sera tornavano i prigionieri che erano stati utilizzati per lavori nelle campagne.

In baracca ci mostravano quello che erano riusciti a raccogliere: di solito qualche patata, più spesso bucce di patate. Ci si metteva attorno alla grande stufa, venivano tagliate le patate in piccole fette e le si metteva attorno al tubo della stufa, e così pure le bucce, attendendo che il calore le arrostisse, poi, se i loro possessori erano benevoli, si dividevano e mangiavamo con avidità.

Elio Biagini