DOPO IL PASSAGGIO DEL FRONTE

Vincenzo Santolini di Coriano, deceduto nel 2020, già partigiano, con un'esistenza contraddistinta da una vita di costante impegno sociale, raccolse le memorie dell'amico Guido Ceccarelli. Queste sono riferite a vicissitudini trascorse durante il periodo bellico e nel dopoguerra. Il Ceccarelli, giovane garzone lavoratore per un colono a Cotignola, racconta gli avvenimenti che si verificarono dopo la liberazione della zona, il 9 aprile 1945, avvenuta da parte delle truppe americane.

Tutta la popolazione era felice dell'avvenuta Liberazione e del passaggio del fronte. Era quella una mattina fredda e io, come i miei compagni di lavoro, disponevo dei soli indumenti che indossavo, che erano laceri e consunti. Ricordo che rimestando fra le macerie di una casa, trovai una giacca militare tedesca, quasi nuova, non mi parve vero e subito la indossai. Quando poi mi recai in piazza per festeggiare la liberazione rischiai di essere scambiato per un soldato tedesco, un interprete inglese quando mi vide mi fermò e mi chiese spiegazioni sull'abbigliamento, subito dopo mi consigliò, per evitare serie disavventure, di disfarmi della giacca, così feci.

A Cotignola la casa colonica dove lavoravo era stata gravemente lesionata dai bombardamenti. Fu così che noi dipendenti dell'azienda agricola, sotto la direzione del padrone, ci mettemmo all'opera per la sua ricostruzione. Riparammo prima il tetto. Accadde però che durante i lavori, a causa del cedimento di una trave, cadessi a terra e battessi violentemente il capo, condizione che mi provocò per qualche giorno uno stato semicomatoso, poi però, fortunatamente, mi ripresi.

Non so descrivere quale gioia immensa provocò in tutti noi della casa quando ci raggiunse l'annuncio che il 25 aprile tutta l'Italia era stata liberata e che la guerra era finita. Il successivo primo di maggio ebbi una sorpresa, l'arrivo di mio padre, era partito in bicicletta da Coriano, non avendo da qualche tempo avuto mie notizie, voleva rendersi conto se ero sopravvissuto agli eventi bellici. Durante il conflitto fra noi, abitanti del podere, era rimasto ucciso, il 17 novembre 1944, colpito da una granata, il solo zio del padrone che si chiamava Marco, al momento del decesso aveva cinquant'anni.

A Cotignola, in quel posto di lavoro come garzone, mi trovavo dal 28 maggio 1944 e dopo la visita di mio padre la nostalgia di casa divenne sempre più struggente, volevo rivedere mia madre Rosa e i miei fratelli, ma ero ancora vincolato dall'accordo di lavoro, perché non era trascorso ancora un anno completo. Alla fine però tali furono le mie insistenti suppliche, per ottenere alcuni giorni di assenza dal podere, che il padrone si arrese e acconsentì alla mia partenza. La mattina al levar del sole inforcai una scassata bicicletta che mi resero disponibile, di marca tedesca, aveva lo scatto fisso, motivo per il quale si doveva pedalare senza sosta. Ero assalito da uno stato d'animo ansioso. Dopo avere pedalato con vena per una quindicina di chilometri, mi sentivo già molto stanco. A causa dei bombardamenti, le strade erano tutte accidentate, cosparse di buche, a volte anche di enormi dimensioni.

Superata Forlì, in un tratto di strada, mi si accostò un signore anziano che era sopra un biroccio trainato da un cavallo e m'invitò a salire e caricare la bicicletta. Invito che accolsi con favore e che non mi feci ripetere due volte. Raccontai, poi, a questo buon uomo da dove venivo e dove ero diretto. Assieme si percorse una decina di chilometri e questo mi permise di riposare e riprendere un po' di forze. Raggiunta Sant'Arcangelo di Romagna, era da poco passato mezzogiorno, le nostre strade si divisero, risalii in bicicletta e pedalai con rinnovato vigore in direzione di Rimini, da dove poi sarebbero mancati ancora 5 - 6 chilometri per raggiungere casa.

Il panorama che mi appariva mi rendeva triste per le immani distruzioni che osservavo, strascico della guerra appena passata. Successe poi che, appena superata la località della Gaiofana, improvvidamente, per un avvallamento che non riuscii a schivare, che cadessi dalla bici. Mi trovavo davanti alla casa di un conoscente tale Mengucci, detto il burc, che accortosi dell'incidente mi prestò soccorso portandomi un boccale d'acqua e una bottiglia di aceto. Era un tardo pomeriggio, montai di nuovo in sella e non senza difficoltà giunsi felicemente a casa. Ero sfinito, avevo fame e avevo riportato alcune, sia pure leggere, ferite, ma finalmente felice di riabbracciare i miei famigliari.

Vincenzo Santolini