INTERNATI MILITARI ITALIANI

Elio Biagini (1923 - 2005) ex ferroviere Capo Treno, già Sindaco Revisore al DLF Rimini, lasciò sue memorie sulle vicende attraversate come militare durante la seconda guerra mondiale, prima in Albania, poi nel campo di concentramento a Kaisersteinbruch (Austria). Qui in un primo tempo fu separato dagli altri suoi commilitoni e ricoverato in un apposito padiglione ospedaliero, perché non ancora in grado di camminare per un principio di congelamento ai piedi.

Le terapie cui ero sottoposto erano efficaci. Cominciai ad alzarmi e fare qualche passo; di una cosa sola ero carente: il mangiare, il tutto si riduceva a tre patate lessate al giorno. Per camminare ci volevano le scarpe ma io ne ero sprovvisto. Mancanza che feci presente al responsabile dell'ospedale. Il militare si accertò che questo rispondesse al vero, dopo di che mi accompagnò in un magazzino dove c'erano capi di vestiario e tante paia di zoccoli di legno, modello olandese. Trovai la mia misura, li calzai e tornai nella mia camera. Finalmente potevo camminare, andare nelle altre camere e conversare con gli altri italiani e informarmi se c'era la possibilità di integrare con qualche piccolo lavoro la misera razione di viveri che passava la cucina, dimenticandomi però che ero un Internato Militare Italiano, che subivo così il trattamento riservato ai traditori.

Nel girovagare in corsia notai che un italiano fumava sigarette, ogni tanto dalla tasca prendeva un quadretto di cioccolata facendola sparire in bocca. Mi avvicinai chiedendogli come facesse avere tanto ben di Dio, questo mi rispose che ogni giorno a una certa ora senza che nessuno lo vedesse si portava nella cucina dei prigionieri francesi a svolgere la funzione di lava marmitte e come paga riceveva qualche sigaretta, una stecca di cioccolata integrando così il misero pasto che era distribuito a noi italiani. Feci notare che la Croce Rossa Internazionale, ogni mese, ai prigionieri di guerra inviava un pacco da 5 chili con tanti prodotti, ma a noi italiani non spettava nulla perché non eravamo prigionieri di guerra.

Così ci si doveva arrangiare, arte che appresi a mio rischio e pericolo. Un giorno mi armai di coraggio e mi diressi, circospetto, alla cucina francese, i cuochi avevano appena terminato la distribuzione del rancio, vedendomi intuirono e m'indicarono il lavoro da svolgere. Mi consegnarono l'occorrente per pulire le marmitte e io mi misi al lavoro. Ne pulii perbene due e il cuoco mi ricompensò con un piccolo pacco che io gradii tantissimo. Dopo avere ringraziato, ritornai al mio posto, così anch'io misi in bocca delle leccornie che da tanto tempo non gustavo.

Avevo trovato così una miniera ma dopo alcuni giorni di andirivieni, un bel dì al ritorno in corsia, appresi una notizia sgradevole: il maggiore medico tedesco, accertato che io non ero in camera, dispose la mia immediata uscita dall'ospedale, dichiarandomi guarito. Ci rimasi molto male, feci buon viso a cattiva sorte e mi preparai a lasciare l'ospedale, prima di partire mi consegnarono una giacca e un pastrano delle divise francesi. Una guardia mi prelevò e mi accompagnò alla nuova residenza.

Elio Biagini