Foschi Silvano, 1943, già ferroviere con la qualifica di Capo Gestione Sovrintendente, Presidente del Collegio Sindacale della nostra associazione territoriale fino al 2010 ha lasciato sue memorie relative agli anni '40 - '50 del secolo scorso che, assieme a quelle di altre persone, sono state raccolte in un libro. Queste testimonianze che riguardano abitanti del Comune di Verucchio, (editore Piergiorgio Pazzini - autore Maurizio Matteini Palmerini), ricostruiscono il buio periodo storico della guerra e degli anni successivi.
Dai ricordi di Silvano Foschi sono stati stralciati alcuni racconti qui riportati. Vi è da premettere che la sua famiglia, composta da padre, madre e quattro figli maschi, fu colpita da una tremenda sventura quando, il 21 settembre 1944, il padre incappò in un rastrellamento tedesco e fu fucilato assieme ad altri otto compaesani. Tragedia che calò la famiglia nella disperazione e la più cupa miseria.
Nel periodo dell'immediato dopoguerra, nel piccolo paese di Verucchio, c'era tanta miseria e non c'erano prospettive di sviluppo; gli uomini emigravano verso le città del nord o verso l'estero per lavorare nelle miniere di Francia e Belgio. Chi rimaneva doveva accontentarsi di piccoli lavori, come bracciante agricolo, o presso le case delle persone più abbienti; d'estate i venti giorni alle macchine della trebbiatura erano una manna per le famiglie.
Eravamo tutti poveri, ma noi più di tutti; ricordo che quando a scuola si parlava di bambini poveri avevo l'impressione che guardassero tutti me. A scuola i bimbi di famiglie meno abbienti (povere), che non potevano permettersi, o ne avevano difficoltà, l'acquisto per lo studio del sussidiario, usufruivano di quello fornito gratis, vistosamente timbrato, dall'E.C.A. (Ente di Assistenza Comunale), che poi al termine dell'anno scolastico doveva essere restituito.
La mamma si spaccava la schiena come lavandaia e come donna delle pulizie presso diverse famiglie per pochi denari e tante umiliazioni. È stata una donna molto sola, anche se aveva i genitori, i fratelli e i cognati. Ognuno, in quei momenti, ha sempre pensato solo a sé stesso. Con noi viveva la nonna cieca, la mamma del mio povero babbo; dopo la disgrazia, mia mamma ha scritto agli altri suoi figli che abitavano tutti lontano da Verucchio, chiedendo se potevano farsene carico. La risposta è stata che poteva metterla nel ricovero. Lei invece è stata tenuta in casa fino all'ultimo respiro.
Nonostante lo stato di estrema indigenza la nostra mamma era molto orgogliosa, non ha mai chiesto niente a nessuno, e non è mai uscita da un negozio senza pagare (del resto pensava che nessuno le avrebbe fatto credito). Piada e cavoli erano il nostro cibo quotidiano e io li sognavo anche la notte; da adulto non ho più mangiato cavoli. Nel 1946 mio fratello Pietro, classe 1940 (chiamato da tutti Bruno), è stato messo in collegio a Bagnacavallo, accompagnato dalla mamma sul cannone della bicicletta a scatto fisso e la valigia sul portapacchi. Da Verucchio a Bagnacavallo ci sono oltre 90 chilometri e lo stesso tragitto la mamma lo faceva per andarlo a trovare e per riportarlo a casa.
Poi, nel 1947, Paolo (1937) e Pietro sono andati in collegio, al Pio Felice a Rimini. Edificio che sorgeva a monte dello stadio Romeo Neri, ove ora al suo posto è sito il Palazzetto dello Sport. A volte i miei fratelli raccontano di quel periodo e la pelle mi si accappona; sembra il racconto di un film ma è stata realtà. Da bambino non ricordo di avere mai avuto un regalo, un gioco. Una mattina, nel giorno dell'Epifania, io avrò avuto quattro o cinque anni, aprendo la porta di casa trovai sulla soglia una scatola di cartone con dentro quattro mandarini, quattro arance, quattro mele, delle noci e delle mandorle. È uno dei ricordi più dolci della mia infanzia, non tanto per il contenuto del pacco, ma per il pensiero che c'era qualcuno che ci aveva pensato.
Nel 1950 il Comune di Verucchio ha assunto la mamma come bidella avventizia. È stato questo un momento di soddisfazione nonostante lo stipendio fosse di sole 1000 lire al mese. Doveva pulire e accendere le stufe di dieci aule prima delle ore otto, tutte le mattine; era costretta a portare a spalla la legna da una sezione all'altra, da una scuola all'altra che distavano circa un chilometro. Se non avessimo dato una mano noi figli, non ce l'avrebbe fatta: ci alzavamo tutti presto per andare con la mamma a scuola, accendevamo le stufe e poi aspettavamo l'arrivo dei nostri compagni.
Silvano Foschi

Foto di alcuni anni fa: seduti al tavolo, nel bar DLF, Giovanni Vannini assieme a Silvano Foschi.