IN UN TRAGICO POMERIGGIO

Il socio Benito Colonna (Toni), classe 1937, ex Macchinista FS, nato e residente nella frazione cittadina di Rivabella, scrisse su un fatto di cronaca nera, accaduto nella sua fanciullezza, l'immediato dopoguerra, che lo turbò tanto, e che qui si riporta.

Caio Fabbri Cai era un uomo tranquillo, uno del popolo, un tipo simpatico, di quelli che tenevano banco, sempre pronto alla battuta, ma la commedia della sua vita si chiude in tragedia per mano di un vicino rancoroso e feroce un pomeriggio d'autunno nel 1946.

A Rivabella gli uomini, come di consueto, erano all'osteria La Paolina unico ritrovo maschile della zona, per la partita a carte di briscola o tresette e bere un bicchiere di vino in compagnia. Cai e Guido (è Bov) il bue, avevano vinto una bevuta contro la coppia avversaria, uno di questi era Dadoun un contadino del luogo, un soggetto piuttosto irascibile che mal sopportava battute scherzose. Cai, invece, per la sua natura scherzosa, sfotteva Dadoun dicendo che se voleva vincere qualche partita gli toccava prima andare a scuola. Da qualche tempo inoltre fra i due c'era un po' di ruggine perché spesso Cai, quando cacciava, faceva incursioni nella terra del contadino.

Fuori si era fatto buio, in molte zone non esisteva ancora l'illuminazione stradale, era ora di rincasare. Dadoun si rivolse a Cai, dicendo: Siccome mi hai battuto, t'invito a casa mia, ti faccio assaggiare un vino che non ti sogni neppure. Fra l'ilarità di tutti i due si avviarono. Passarono pochi minuti quando la porta dell'osteria si spalancò, urlando trafelata entrò Maria a Valec Correte presto, venite! Daudon ha accoltellato Cai. È morto.

Gli uomini la guardano sbigottiti e increduli: Come è possibile?. Poi si scossero e la seguirono. Cai era riverso a terra in una pozza di sangue. Al momento del fatto, Maria era fuori dell'uscio di casa, a venti metri distante dai due uomini, raccontò che dopo l'abbraccio mortale Cai era caduto poi, rialzatosi, rivolto all'assassino, che si stava allontanando, gli aveva urlato: Vigliach, ma tent ai denunzi (Vigliacco, ma tanto ti denuncio). Poi si era accasciato al suolo e non si era più rialzato. Il povero uomo era stato colpito con tre coltellate all'altezza del cuore.

Mio padre giunse a casa bianco in volto e con le lacrime agli occhi. Raccontò l'accaduto indugiando nel parlare, un nodo di commozione gli serrava la gola. Cai, povero, ma galantuomo, benvoluto da tutti, era stato ucciso vigliaccamente da un disgraziato che l'aveva attirato in una trappola con un'offerta d'amicizia. Cai, lasciava la moglie e tre figli in tenera età. Era il 10 novembre 1946. A quell'epoca i partiti dominanti erano sostanzialmente due: la Democrazia Cristiana che guardava all'America e il Partito Comunista schierato dalla parte dell'Unione Sovietica. Cai con la sincerità e la spontaneità sua tipica, non aveva fatto mistero d'essere appassionato tifoso del secondo gruppo.

Una fiumana di gente accompagnò il feretro all'ultima dimora. Il funerale fu memorabile. Il feretro, portato a spalla, partendo dalla chiesa di Viserba, in testa c'era il parroco, costeggiò la litoranea marina, proseguì per via XXV marzo e, mi ricordo bene, si fermò di fronte a villa Giulia del professor Manduchi al n. 4 dove la banda musicale suonò Bandiera Rossa. I compagni di partito e gli abitanti di Rivabella lo onorarono accompagnandolo fino al cimitero, con un grande sventolio di bandiere.
A quanto io sappia, il vigliacco assassino, dopo aver scontato solo sei anni di carcere, tornò in libertà.

Benito Colonna