MILANO - MILANO

La riminese Saulla Bacchini, 1920 - 2015, giornalista e scrittrice, ha lasciato alla figlia Gabriella memorie scritte che gentilmente ci ha consegnato. Il padre Guglielmo, ferroviere, con la presa del potere di Mussolini, nei primi anni '20, fu uno degli oltre quarantamila licenziati perché antifascisti. Una situazione per la quale, dopo qualche anno di lavori saltuari e precari, per cercare una adeguata sistemazione, si trasferì con la famiglia a Milano. In questo suo scritto racconta le prime esperienze.

Milano mi parve affascinante più di quanto immaginassi, e di tentacolare non ci vedevo niente. Con pochi centesimi i tram ci conducevano in centro: trascorrevamo ore passeggiando sotto i portici, avanti e indietro nella Galleria Vittorio Emanuele, non ci stancavamo di entrare nel Duomo o di perlustrare il mercatino che stazionava sotto la Loggia dei Mercanti. Ero riuscita a comprare un libretto Breve storia di Milano. Mi parve incredibile che fosse stata fondata dai Galli Insubri nel V secolo a.C. A scuola, questi Galli, ce li avevano descritti barbari e rozzi. Infine dopo la prima ubriacatura milanese pensammo al lavoro.

Il babbo si era insediato nell'ufficio di una ditta per i Trasporti, il lavoro gli piaceva moltissimo, diceva che dopo avere sigillato i camion in partenza gli sembrava di veder le navi mercantili uscire dai porti. Emmore e Emgilla, le mie due sorelle maggiori in età, cominciarono il lavoro di sarte, nonostante lo spazio nell'appartamento fosse limitato. Erano assai brave ed estrose. Per un anno avevano frequentato a Parigi il celebre atelier Schiapparelli. Per tutto quel tempo furono ospiti della zia Silla, sorella della mamma, e di Ulderico, il marito, e dei loro cinque figli. Ulderico, fervente repubblicano, era riuscito a fuggire in Francia prima che la polizia fascista lo arrestasse.

In attesa di iscrivermi agli esami, cercavo un qualsiasi impiego. Non lo trovavo, cioé c'era sempre, secondo i miei genitori, qualcosa che non andava: o era troppo lontano, o sarei stata la sola impiegata, e ciò non era dignitoso per una ragazza giovane come me, o lo stipendio era troppo misero. Un antiquario mi aveva offerto 150 lire al mese, somma ridicola anche a quei tempi. Mi accorgevo che la disoccupazione imperava, che i salari e gli stipendi erano stati abbassati, che il fascismo raccontandoci di essere il nostro salvatore ci faceva un energico lavaggio del cervello, per poter realizzare i suoi sogni di gloria. Come ogni regime dispotico, generava corruzione; trovavi lavoro più facilmente se eri iscritta al partito e se ti esibivi nel saluto con il braccio teso (abolite o quasi le strette di mano). Mi rodevo dall'impazienza. Poi venne fatta l'offerta dal proprietario di trasporti di aiutare mio padre in ufficio per duecentocinquanta lire mensili. Potevo in tal modo contribuire anch'io al benessere della famiglia.

Saulla Bacchini