Nel lontano 1957, appena assunto in ferrovia a Bologna con la qualifica di allievo aiuto macchinista, dovetti con altri 24 colleghi sostenere un corso di addestramento della durata di circa otto mesi, tutti trascorsi in aula. Il nostro insegnante fu il capo deposito istruttore Anacleto Recchioni. Ottimo istruttore e bravissima persona. Quando insegnava alcune cose che noi stentavamo a comprendere, lui era solito dire in dialetto bolognese: ragazù, ai vol brisa un scienziè (ragazzi, non occorre uno scienziato per capire - mi scuso con i bolognesi per la probabile imprecisione nella scrittura dialettale).
Evidentemente per lui, che era preparatissimo, era una cosa facilissima, per noi un po' meno. Diversi anni dopo anch'io divenni capo deposito istruttore e, memore del suo ragazù..., mi imposi di considerare che gli argomenti che per me risultavano semplici, avrebbero potuto non esserlo per gli allievi. Per cui usai il metodo delle calende, cioé sviscerare tutto dall'inizio e non dare nulla per scontato. Sta ai miei allievi giudicare se ciò sia stato produttivo, ma ebbe per me un riflesso sulla mia famiglia e tra gli amici.
Sarà distorsione professionale, ma quando intendo parlare di un argomento oppure rispondere a un amico, parto sempre dall'inizio per cui in famiglia mi dicono sempre: Taglia, sei prolisso.
Cosa mi resta da fare? Recuperare il fiato che ho speso per parlare continuamente ai miei tempi, per sette ore al giorno. Insomma: um tocca ste zett (devo tacere).
Per fortuna posso scrivere sul nostro giornalino senza sentirmi dire: taglia. Fino a quando mi sarà concesso, però. Dipende da chi legge.
Filippo Vannini