Vincenzo Santolini di Coriano, già partigiano, un'esistenza la sua caratterizzata dall'alto impegno sociale; deceduto nel 2020, raccolse in un libretto le memorie di un suo caro amico, Guido Ceccarelli. Si tratta di ricordi concentrati negli anni quaranta del secolo scorso, di cui alcuni episodi sono già stati pubblicati. In questo racconto viene descritta una sua svolta di vita dopo il rientro del padre dal servizio militare.
Finalmente dopo quasi quattro anni nostro padre, il 20 aprile 1944, tornò a casa, congedato per anzianità di servizio. Così ricominciò a gestire il lavoro del podere di Monte Tauro (Coriano), però io mi trovai subito in difficoltà perché non riuscivo ad adattarmi a ricevere comandi da lui, essendomi ormai abituato all'autonomia decisionale. Per evitare continue controversie, cominciai a pensare di trovarmi un lavoro fuori casa.
In quel periodo da noi stava passando il fronte e i tedeschi cercavano ragazzi (io allora avevo 18 anni) per costruire rifugi sul colle di San Martino Montelabbate e a San Lorenzo in Correggiano, sotto la villa Des Vergers. Così iniziai a lavorare per la T.O.D.T., mi fecero un documento con il quale venivo autorizzato a portare tutte le sere a casa il badile e il piccone. Facevo ogni tanto finta di dimenticare tali attrezzi a casa e così me ne fornivano di nuovi. I tedeschi ne avevano tanti di questi attrezzi, li comperavano a centinaia presso le ferramenta Dolci e Guidi di Rimini. Svolsi tale lavoro fino al 27 maggio 1944 e presi come paga lire 72 più diversi badili e picconi.
Il giorno successivo iniziò per me una vita oltremodo disagiata. Mio padre mi accompagnò in treno da Rimini a Ravenna per impiegarmi come garzone presso la casa della famiglia Bagnara di Cotignola, soprannominata gli Asmen. Mio padre pattuì per me come paga, per un anno, lire 13.000. Un altro ragazzo, quasi mio coetaneo, assunto nel marzo 1944, percepiva sempre per un anno la paga di lire 8.000. La differenza dal mio compenso dal suo dipendeva dalla forte svalutazione dei soldi, avvenuta nel frattempo a causa degli eventi di guerra.
Questo ragazzo veniva da Predolara, località vicino a casa mia, che già conoscevo e si chiamava Alfredo Casadei, detto e Baron. Questo ragazzo, grande lavoratore, vero amico, morì, poi, per una ferita nel 1949. Ho conservato di lui il ricordo, per le sofferenze che ci hanno accomunato in quel periodo di lavoro, perché i padroni ci trattavano malissimo; durante il lavoro ci riempivano di improperi e ci chiamavano in modo spregiativo: garzonacci, tabach, basterd e bocia. Secondo loro ero pagato oltre misura. Lavoravo 20 ore al giorno.
Una volta accadde che dopo avere tagliato il fieno, mentre allestivo il pagliaio, cadessi, e mi feci male a un braccio. Durante la notte mi venne la febbre, ma il giorno dopo i padroni mi obbligarono ugualmente a lavorare, affermando che loro mi pagavano per tutti i giorni pattuiti. Quando fu sera subentrò la febbre e subito mi coricai; una delle donne di casa disse che bisognava darmi qualcosa da mangiare, ma il più anziano dei padroni, fervente fascista, le rispose che bisognava darmi dell'olio di ricino. Alla fine dell'anno, quando mi pagarono, mi trattennero il costo della garza e del disinfettante.
Vincenzo Santolini