IN GUERRA SULLE ALPI ALBANESI

L'ex ferroviere Elio Biagini (1923 - 2005), che nel decennio degli anni Settanta del secolo scorso presso il DLF di Rimini ricoprì la carica di Sindaco Revisore, lasciò delle memorie sulle traversie vissute in terra di Albania dove si trovava militare. Dopo l'8 settembre 1943, con la dissoluzione dei comandi militari, prese la decisione di raggiungere le bande partigiane operative sulle montagne. Aggregatosi inizialmente a formazioni comuniste, una volta rimasto isolato dopo un attacco tedesco, incontrò dei partigiani che salutò col pugno chiuso, come gli era ormai abituale, ma questi appartenevano a gruppi nazionalistici.

Spiegai loro tutto ciò che mi era capitato dopo l'8 settembre e la mia aggregazione alle forze partigiane albanesi ma, finito il mio racconto, appresi che avevo rivolto il saluto a dei partigiani nazionalisti, nemici degli altri partigiani. Io non sapevo che i partigiani nazionalisti avevano il solo simbolo della stella rossa, mentre gli altri partigiani avevano sì la stella rossa, ma anche la falce e il martello. Terminato il mio racconto, il loro capo mi avvisò che a Valona c'erano i sommergibili di Mussolini che trasferivano in Italia i soldati rimasti in Albania.

Mi ordinarono di seguirli e ci mettemmo in marcia. Ci fermammo poi in un villaggio di fede nazionalista dove mi dissero che avremmo passato la notte. Mi offrirono una scatoletta di carne che mangiai avidamente. Mi assegnarono un posto per dormire che subito occupai, e mi addormentai. Dopo non so quante ore sentii dei moschetti sparare con il tipico tac pum delle armi partigiane. In casa si verificò un fuggi fuggi generale e io, dopo poco tempo, mi ritrovai solo. A un tratto ecco irrompere in casa dei partigiani in cerca di nemici. Nella penombra delle loro torce, notai che questi erano partigiani comunisti perché sui berretti avevano oltre alla stella la falce e il martello.

Uno di loro mi si avvicinò e mi chiese chi fossi e io, ancora una volta, dovetti ripetere chi ero e perché mi trovavo lì. Terminato l'interrogatorio, mi ordinarono di seguirli verso una nuova destinazione. Quando attaccavano i partigiani formavano gruppi di una decina e il loro attacco era repentino: una scarica e di corsa verso l'obbiettivo. Ultimato il loro compito... via di corsa. Così fecero portandomi via con loro. Tutta la zona che attraversammo era coperta di neve; le mie gambe iniziavano a essere pesanti, ero stanchissimo e speravo che la camminata fosse ormai breve.

Dopo circa un'ora ci fermammo in un casolare, entrammo in una casa dov'erano presenti altri partigiani, tutti si salutarono e si sedettero conversando fra loro. Il capo che mi aveva liberato si avvicinò e mi indicò una persona che parlava correttamente l'italiano. Questi volle sapere le mie condizioni di salute. Gli feci presente che avevo sofferto tanto il freddo e che i piedi mi si gonfiavano. Mi fece levare gli scarponi; non avevo calze, ma pezze da piedi. Mi guardò le estremità e con la testa faceva segni negativi. I piedi avevano i primi sintomi di congelamento.

Elio Biagini