MAIALI (BAGHINI)

Virginio Cupioli (Tonino), 1926 - 2023, ci ha lasciato memorie dei suoi anni giovanili trascorsi in quella che allora era una zona periferica della città, via Fogazzaro dove nella casa in cui viveva con i genitori, oltre la cura dell'orto, si allevavano animali da cortile, fra cui maiali.

I maiali, al massimo tre per mancanza di posto, venivano comprati in primavera quando erano lattonzoli, nutriti con semola di farina di mais, semola di grano, cereali e vegetali vari anche bolliti per un periodo di tempo, poi d'estate con gli avanzi dei cibi delle pensioni estive detti broda, che giornalmente all'alba venivano prelevati con una broza (carretta a due ruote con sopra un bidone di metallo tipo contenitore di benzina), trainato a mano da mia mamma e dai suoi figli piccoli, che l'accompagnavano nel silenzio del mattino percorrendo a testa bassa il percorso da casa a piazza Tripoli (oggi Marvelli) andata e ritorno.

Per dare maggior forza e vigore ai suini, venivano alimentati anche con ghiande raccolte all'alba nella zona del Grand Hotel e della Casina del Bosco, luogo adorno di lecci, molte erano le persone che si affrettavano a questa ricerca anche affannosa in concorrenza fra loro. Quando nel porcile veniva immesso un nuovo maiale fra quelli esistenti, affiorava il senso del territorio che spingeva questi, almeno nei primi giorni, a grugnire e morsicare il nuovo venuto. Per questo venivo incaricato, seduto a cavalcioni sul muro divisorio, con un bastone a intervenire per evitare danni, almeno fino a quando la situazione non si normalizzava.

Occorreva essere cauti quando si riempiva il trogolo (ebie) di pastone, perché i maiali entravano in competizione fra loro, potevano così fare cadere per la veemenza, la frenesia, con la quale si avventavano su questo. Questi, di tanto in tanto durante la pulizia generale del porcile, venivano lasciati liberi nel recinto di casa, grugnivano e correvano istintivamente, col muso cercavano le radici e rimuovevano il suolo tanto da apparire un campo arato.

D'inverno, per Sant'Antonio, un maiale veniva sacrificato per la famiglia e gli altri due venduti per sopperire alle ristrettezze economiche. L'uccisione del maiale veniva fatta da specialisti, i loro strazianti stridi a squarciagola si udivano a un chilometro e più di distanza, le pacche (parti di maiale dimezzato), venivano agganciate alla rola per asciugarle, indi salate, poi, qualche giorno più tardi, sminuzzate e trasformate in salami, prosciutti, salsiccia, eccetera.

Perché i salumi stagionassero, occorreva che la casa avesse degli spifferi d'aria che di fatto non mancavano, non accadeva mai che si avariassero, anche perché venivano consumati anzitempo. Col sangue del maiale si approntava una torta stesa su una sfoglia di farina, ma che non si fa più, salvo in qualche caso per tradizione.

Virginio Cupioli