IL RACCONTO DI UN AMICO

Mio padre emigrò per la prima volta, sul finire degli anni 50 del secolo scorso, prendendo un treno da Palermo che lo avrebbe portato in Germania, a Francoforte. Un treno affollato all'inverosimile. Lui neanche sapeva che si sarebbe fermato a Francoforte, sapeva che andava in Germania.

Mio padre era un bracciante si direbbe oggi, lavoratore della terra di altri, e stette due anni lì, in Germania, a metter binari e traversine per la ferrovia tedesca, lavoro che i Tedeschi non facevano già più, loro dirigevano solo da capisquadra. Quando tornò per la prima volta, io non conoscevo quell'uomo che mi voleva abbracciare e che mi aveva portato barrette di cioccolato con dentro, nei quadrettini, della marmellata e scappai dai miei nonni materni, dove stavo spesso, fin quando mia madre mi venne a riprendere e mi disse, avrò avuto tre o quattro anni, lui è tuo padre.

Poi dalla Germania andò in Piemonte con l'aiuto di alcuni paesani che già erano lì. Abitava con altri tre in uno stanzone con quattro letti, un lavabo e una cucina a tre fornelli di un tempo, e il gabinetto si trovava all'esterno. Fin quando, lavorando alla Snia Viscosa di Venaria riuscì, dopo un paio d'anni, ad affittare dalla stessa proprietaria di quello stanzone dove viveva, nella casa adiacente, un bilocale con un piccolo cucinino e ci fece arrivare a Torino.

Era il 7 gennaio 1964 avevo sette anni, mia sorella nove, e trovai la neve fuori della stazione di Porta Nuova e non sapevo nemmeno cosa fosse. A Venaria eravamo un sacco di emigrati, in prevalenza Veneti e Friulani e poi noi meridionali, che arrivammo dopo di loro. Dopo un po' di tempo anche mia madre fu assunta alla Snia e io e mia sorella, per un certo periodo, stavamo da soli, fin quando i miei genitori non riuscirono a lavorare con turni scambiati e a esserci, almeno uno di loro con noi, con al massimo un'ora di assenza. Oggi sarebbero condannati per abbandono di minori ma a quel tempo, metà anni '60, era così e nessuno ci faceva caso, contava produrre in fabbrica e basta. Però c'era tanta fiducia e voglia di futuro.

Imparammo subito, io e mia sorella, ad andare a scuola a piedi da soli, ad arrangiarci insomma, in particolare mia sorella che badava pure a me oltre a sé stessa. Un giorno mio padre, quando ero ragazzo, mi raccontò della sua vita in Germania. Abitavano in baracche precostruite lungo la ferrovia, poi rientravano a Francoforte al venerdì sera. All'inizio per comprare delle cose e prendere un filobus, non conoscendo il valore delle monete tedesche, mi disse che si metteva i soldi nelle mani e che il negoziante o il bigliettaio prendevano solo quanto costava, ne un fenech, non so se si scriva così, in più o in meno.

Potrei andare avanti a raccontare perchè non ho dimenticato niente. Se soltanto ci ricordassimo chi siamo veramente, cosa abbiamo vissuto e lo raccontassimo a figli e nipoti allora credo che nessuno, dal Friuli al Veneto fino ad arrivare in Sicilia, potrebbe sopportare di aver dimenticato noi stessi, che siamo scappati dalla miseria a cercar miglior fortuna, nelle Americhe o al nord Europa. Mia nonna materna nacque negli Stati Uniti perché la sua famiglia emigrò lì verso la fine del 1800, stipati in una nave, come animali, per settimane e settimane, tanto durava il viaggio.

Una parte della famiglia è poi rimasta lì, ma i miei bisnonni ritornarono perché presero una malattia. Mia nonna aveva pochi mesi. Io a Venaria non ho dimenticato quei cartelli affissi ai portoni Non si affitta ai meridionali, e ne quale sdegno, quale sofferenza, provocavano in me queste discriminazioni.

Pompilio Parzanese