PENSIERI SULLA MIA VITA

Oggi è il 7 febbraio e il computer mi dice che fuori la temperatura è di 2° centigradi, perciò rimango in casa e mi lascio andare al pensiero della mia vita vissuta fino a oggi. Il pensiero va subito a quando avevo 13 o 14 anni, ossia agli ultimi 2 anni in cui io e i miei familiari eravamo ancora dediti all'agricoltura. Questa è stata l'età in cui riuscivo a fare, con le dovute precauzioni, quasi tutti i lavori che facevano mio padre e mio fratello più grande. Quello che mi piaceva di più era guidare le mucche con il biroccio per andare nel campo a prendere l'erba falciata da mio babbo o da mio fratello, che poi davamo da mangiare a esse e alle altre bestie che avevamo nella stalla.

Siccome questo lavoro lo facevo quasi tutti i giorni, ormai le due bestiole avevano imparato a memoria cosa dovevano fare e quindi non era più necessario che io ordinassi loro i vari movimenti o le varie posizioni che dovevano assumere per eseguire le varie operazioni: come indossare il giogo sulle spalle, attaccare il timone del biroccio (in dialetto brocc) al giogo con l'apposito perno (in dialetto caveja), fermarsi quando io dovevo caricare l'erba, ripartire quando avevo finito di caricare il mucchietto di erba e dovevamo andare a caricare il mucchietto successivo... fino a riprendere la strada di casa quando i mucchietti erano finiti.

Il fatto che avessero imparato da me i movimenti a memoria e che dessero l'impressione di farlo volentieri mi dava tanta soddisfazione e mi faceva credere di stare imparando abbastanza bene come trattare gli animali che ci aiutavano a fare i lavori più faticosi come arare, seminare, falciare e trasportare. A questo punto volevo illustrarvi come si riesce a parlare con gli animali per istruirli su cosa devono fare, ma improvvisamente mi sovviene un detto i vecchi ricordano meglio le cose vissute da piccoli che quelle vissute più recentemente e mi assale il dubbio di essere già nella fase che va verso la demenza senile!

Tuttavia voglio ugualmente spendere alcune parole per farvi comprendere come si costruisce il dialogo tra un animale e chi lo guida (in dialetto chiamato bjoich): innanzitutto va detto che le bestie lavorano sempre in coppia, di cui una sta sempre a destra e si chiama ro e l'altra sta sempre a sinistra e si chiama bunì. Quando lavorano sono unite dal giogo che le tiene unite poggiando sulle loro spalle e nel tratto che sta in mezzo tra le due bestie c'è l'attacco del timone dell'attrezzo che si deve usare (aratro, biroccio, seminatrice, falciatrice...). Inoltre ci sono due funi chiamate guide che vanno dal naso delle due bestie fino a circa due metri dietro l'attrezzo in uso.

Funziona così: quando dici ro e tiri la fune di sinistra, la bestia che sta a destra va avanti e quella che sta a sinistra si ferma in questo modo si gira a sinistra; viceversa se si deve girare a destra, devi dire bunì e tirare la fune di destra in modo che la bestia di sinistra va avanti e quella di destra si ferma. Quando dici valà oh devono andare avanti tutte e due. Naturalmente queste cose non erano note alle bestiole, ma bisognava insegnargliele e fargliele rimanere ben impresse. Questo tipo di insegnamento durava parecchio e si chiamava domare le manze (le manze erano le mucche non ancora addestrate).

Nella nostra stalla c'erano sempre due mucche adulte e addestrate che facevano i lavori e che nei periodi opportuni o erano incinte o accudivano i vitelli piccoli. Poi c'erano due manze che erano state scelte per essere allevate tra le vitelle generate dalle due mucche adulte; queste manze potevano essere già domate o da domare o in fase di addestramento e il loro destino era quello di sostituire le due mucche adulte quando queste venivano vendute per fare carne da macello perché, data l'età, non erano più in grado di fare il loro lavoro.

I vitelli maschi e le femmine che non diventavano manze venivano venduti all'età di circa sei mesi a degli allevatori che li facevano crescere fino a raggiungere il peso degli adulti (circa 5 o 6 quintali) per farne carne da macello pregiata. Naturalmente quando le mucche avevano i vitelli producevano tanto latte: una parte serviva per allattare il proprio vitello e una parte era a disposizione della nostra famiglia per fare i formaggi; l'eventuale rimanenza veniva infine venduta. Normalmente una mucca produceva circa venti litri di latte al giorno; a me piaceva berlo appena munto finché era ancora caldo. Nella nostra stalla non c'erano più i buoi perché in quel periodo (anni '50 e '60) c'erano già i primi trattori gestiti da terzisti che venivano a fare i lavori pesanti che prima erano affidati ai buoi.

Naturalmente io ero molto attratto sia dal gestire il rapporto con le bestiole della famiglia sia dalla curiosità di vedere come funzionavano i trattori e soprattutto dal riuscire a fare le attività degli adulti in quanto mi faceva credere di progredire e maturare. Successivamente lo sviluppo delle attività artigianali, industriali e del turismo, associato allo scarso rendimento dell'attività agricola fatta con il sistema tradizionale e agli alti costi delle attrezzature moderne, hanno fatto in modo che molti coltivatori cambiassero attività.

In pratica così è successo anche alla mia famiglia: mio fratello ha vinto il concorso in ferrovia e siccome io andavo ancora a scuola, mio padre non riusciva più a fare tutto da solo e perciò anche lui è andato a lavorare in una ditta edile e il terreno lo abbiamo lasciato. Forse la maggior parte di noi, ossia quelli delle generazioni successive alla mia, non hanno fatto in tempo a vedere come funzionava la vita in quel periodo, ma in ogni caso è bene rammentare che quasi tutti proveniamo da questa storia.

Alvaro Dellavalle