Vincenzo Santolini di Coriano, già partigiano, un'esistenza la sua caratterizzata dall'alto impegno sociale, deceduto nel 2020, raccolse le memorie di un suo caro amico, Guido Ceccarelli. Si tratta di ricordi concentrati in un periodo posto a cavallo della seconda guerra mondiale (di cui alcuni episodi già sono stati pubblicati in articoli precedenti), concernenti le sue condizioni di vita, fatta all'epoca di stenti e sacrifici. Il padre, mezzadro in un terreno posto a Montetauro di Coriano, venne nel 1940 richiamato sotto le armi quando lui aveva quattordici anni. Qui ci descrive come in sua assenza si era organizzata la famiglia, costituita dalla madre e sei figli, tre maschi e tre femmine.
Nel mese di maggio tutte le sere, a casa, mia madre con noi famigliari recitava il rosario. Tutte le domeniche mattina si andava alla messa nella Chiesa di Montetauro.
Nel mese di giugno si cominciava a tagliare il grano con la falce a mano, si accumulava in covoni che venivano poi portati sull'aia, preventivamente ben pulita, per raccogliere il grano con l'apposito macchinario. La ditta che provvedeva all'operazione era di solito la Biotti di Città della Pieve e al massimo risultavano circa trenta quintali di grano da dividere a metà con il padrone. Dalla battitura usciva anche la paglia con la quale si facevano i pagliai.
Si provvedeva anche ai lavori di campagna, si tagliava con il falcione lo strame (lo stelo del grano) alto circa 40 centimetri, che veniva utilizzato come foraggio per il bestiame. Ricordo che le due vacche partorirono la notte del 25 luglio 1940, entrambe due vitelline, senza l'ausilio del veterinario. Allora le vacche spesso partorivano senza problemi, da sole, perché facevano molto movimento, essendo utilizzate per il lavoro nei campi. Ovviamente sia le vacche che le vitelline erano proprietà del proprietario del podere.
Il 13 agosto 1940, un lunedì mattina, andai al mercato a Coriano, mi decisi a comprare un maiale che sarebbe stato utile alla mia famiglia. Pesava 13 Kg e lo pagai 40 lire. Seppure non avessi soldi, il venditore me lo diede, si fidò di me, lo saldai la settimana successiva. Ero tanto contento di possedere un maiale, al quale poi mi affezionai tantissimo.
Nel mese di settembre si cominciava la raccolta dell'uva, si pigiava con i piedi in tini di legno, poi si metteva a bollire in tini più grandi e dopo alcuni giorni si metteva nelle botti di legno, infine la vinaccia veniva torchiata. Il lavoro del vino durava un mese o poco più.
A novembre invece si raccoglievano le olive, noi le portavamo al mulino da Renzi a Trarivi di Montescudo, oppure da Zangheri Pellegrino a Pedrolara e a volte da Vasconi a Coriano. L'olio extravergine che ne usciva era preziosissimo per la famiglia e si usava solo per condire insalata o erbe cotte.
Dopo la raccolta delle olive si passava alla semina del grano, fatta a mano e con l'ausilio della macchina seminatrice munita di ruote e trainata dalle vacche.
Tutti i raccolti della campagna si dovevano dividere a metà con il padrone; i conti della gestione del terreno, della stalla e della cantina si facevano a fine anno con il fattore e il mediatore, ai quali si doveva consegnare anche un paio di capponi, i più belli e pasciuti. Al padrone invece, quasi tutti i mesi, si portavano sempre due paia di capponi, sempre i più belli e grossi, oltre a delle pollastre e delle uova.
Purtroppo i conti non erano mai a vantaggio del contadino. La vita era fatta di estenuante lavoro, sufficiente a malapena per la sola sussistenza.
La Redazione