In questo suo scritto l'autore Franco Fontemaggi, classe 1930, che trascorse gli anni della sua giovinezza nel sobborgo cittadino della Castellaccia, rievoca episodi della sua militanza politica.
Nel 1948, assieme a un folto gruppo di compagni, mi recai a Bologna per ascoltare un comizio di Togliatti; non ricordo nei dettagli il suo discorso, ma di certo parlò del programma del Fronte Popolare. Serbo ancora una foto di quel giorno; si riconoscono Cecco Ferrari con al braccio la stella dei partigiani, Gino Sarti, Savio Vasi, Sergio Serpieri, mentre io e Raul Fugalli portiamo le bandiere della nostra speranza. Finito il comizio, ci mettemmo alla ricerca di un ristorante e quando alla fine ne trovammo uno che esponeva il cartello con su scritto Vini tipici, Raul, stanco di girovagare, decise per tutti e con facezia sentenziò: Tipici o topici adesso entriamo qui!.
Con le votazioni che di lì a poco ebbero luogo, si creò nel Paese una profonda spaccatura politica, in particolare modo tra i giovani. E quegli stessi che avevano passato l'infanzia attorno alla Parrocchia ora si scontravano e si battevano a colpi di pennello e colla per la conquista dell'ultimo centimetro di muro rimasto ancora libero, in una forsennata campagna murale. Mi ricordo di un carissimo amico, Puccio, col quale insieme avevamo distribuito più volte santini all'uscita dalla Messa e ora ci si ritrovava faccia a faccia, con grossi pacchi di manifesti: io per il Fronte Popolare, con l'effige di Garibaldi, e lui nei Comitati Civici per la Democrazia Cristiana, con i manifesti dello scudo crociato, scudo che ci avrebbe difeso dal cosacco col pugnale fra i denti e la frusta in mano.
Nel nostro gruppo ricorderò sempre Renato Lisi, che spesso si scontrava con la polizia di Scelba e finiva in guardina alla Rocca. Quando ciò accadeva, premurosi, portavamo la notizia alla madre che vendeva le poveracce sulla Piazzetta, perché non stesse troppo in pensiero. In piazza Cavour, il palazzo dell'Arengo spariva poco a poco sotto l'affissione di un mega-manifesto del Fronte Popolare, manifesto che Nin aveva preparato su dieci fogli da due metri quadri, da apporre l'uno accanto all'altro per formare l'immagine di Garibaldi. Due scale dei pompieri, un mastello per preparare non so più quanti litri di colla, una decina di volontari e il tutto diretto dalle grida del Nin che, tenendosi la testa con le mani, agitato e disperato per la sua opera, gridava agli uomini sulle scale dirigendo l'operazione di affissione.
La campagna di odio, scatenata nel Paese per vincere le elezioni, diede i suoi frutti con l'attentato a Togliatti, compiuto il 14 luglio 1948 dal fascista Pallante che gli sparò quattro colpi di pistola, fortunatamente non mortali, e mentre l'attentatore tentava di mettere a segno un quinto colpo al cuore, Nilde Iotti, presente, gli si lanciò contro urlando. Le saracinesche dei negozi abbassate, la polizia accantonata in caserma, si respirava un'aria preinsurrezionale. Le prime parole di Togliatti, dal policlinico dove era ricoverato, furono: State calmi, non perdete la testa.
A Rimini, come altrove, ci mancò poco a che lo sciopero generale di protesta non sfociasse in un movimento di piazza violento. La città era pattugliata da squadre di giovani, alcuni anche armati: impedivano ogni attività lavorativa. Una di queste squadre era comandata dal Brasile e noi lo seguivamo un po' disorientati, ma con il fazzoletto rosso al collo.
Franco Fontemaggi