IN GUERRA SULLE ALPI ALBANESI

Elio Biagini (1923-2005), già ferroviere e sindaco revisore al DLF Rimini, vissuto nella frazione cittadina di Viserba, durante il II conflitto mondiale prestò servizio militare in Albania. In questo suo scritto ripercorre vicende che lo videro protagonista dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943, quando si aggregò con altri commilitoni a una formazione partigiana. Qui, per l'appunto, narra come, fermato da una pattuglia tedesca, si trovò coinvolto in pericolose peripezie.

Così si arrivò al nuovo anno, il 1944. Il lavoro che svolgevo nel campo partigiano non era pesante e le giornate lentamente passavano. Un giorno mentre con il somarello carico di otri d'acqua salivo il sentiero verso l'accampamento, mi accorsi che dei ragazzini albanesi si dirigevano verso di me e, ad alta voce, mi avvisarono che stavano arrivando i tedeschi.

Mi resi subito conto del pericolo che incombeva su di me, non potevo fuggire perché i tedeschi avevano sentito i ragazzini urlare, continuai il mio cammino lungo il sentiero e alla fine vidi i militari tedeschi che mi aspettavano con le armi puntate. Pensai di essere arrivato alla fine, aspettavo la scarica dell'arma da fuoco finendo così tragicamente la mia vita.

I tedeschi con le armi puntate verso di me, pronunciavano le frasi che purtroppo avrei sentito ancora tante volte: italiano, partigiano, traditore, Badoglio. Con le mani alzate mi avvicinai ai militari aspettando la loro reazione. I loro volti denotavano rabbia nei miei riguardi, i traditori non meritavano alcun rispetto, questo avevano scritto. Mi ordinarono di mettermi fra due soldati armati, ciò fatto ci si mise in marcia.

Il gruppo era formato da una trentina di tedeschi e due conducenti di muli che erano italiani. Ricordo che avevano il cappello di alpino e credo appartenessero all'artiglieria di montagna. Passammo davanti alla casa dove avevo trovato sistemazione e dove si trovava il mio misero fagotto, composto di poca biancheria e dalla mia gavetta. Se avessi azzardato a far presente ai tedeschi che di quella casa ero ospite, la loro ira si sarebbe sfogata bruciando la casa, perciò decisi di tacere. Passando davanti notai che un albanese osservava con lo sguardo pieno di terrore perché temeva che mi fermassi.

Stavo pensando a ciò che il destino mi avrebbe riservato. Camminando in mezzo ai boschi, senza un vestiario adeguato al clima, sentivo freddo e tremavo. Quando ormai era notte incontrammo un casolare. I militari tedeschi ne presero possesso, segno evidente che si sarebbe fatta la sosta notturna. Notai che tutti facevano i preparativi per la notte, dagli zaini prelevavano coperte, razioni di viveri, e io speravo che qualcosa toccasse pure a me. Ma la mia presenza non era notata da nessuno. Quando tutto fu sistemato, un militare mi venne vicino e mi indicò la mia sistemazione notturna: nella stalla in mezzo ai muli.

Quando vi entrai mi venne chiusa la porta alle spalle e rimasi completamente al buio, in mezzo ai muli e a tanto fetore. Durante la notte il freddo e la fame non mi fecero chiudere occhio, avevo sentore di un terribile presagio, che la mia fine fosse prossima. Al mattino quando aprirono la porta un'altra sorpresa mi attendeva. La neve durante la notte aveva coperto con il suo manto bianco tutto il bosco, i tedeschi si preparavano a partire. I muli erano già carichi di armi e masserizie; quando la colonna fu pronta il comandante diede l'ordine di partire.

Nel bosco regnava un silenzio tenebroso, la neve cadeva abbondantemente, ogni venti minuti la colonna si fermava per ristorarsi. Si facevano panini e bevevano grappa, ma per me non c'era nulla. Mi rivolgevo ai conducenti dei muli, che erano italiani come il loro prigioniero, pregando di darmi un pezzo di pane; ma la risposta era negativa alludendo che anche a loro i tedeschi razionavano il mangiare. Mentre i militari erano in pausa, io dovevo muovermi continuamente e pestare la neve per non congelarmi. Si camminò mentre la neve cadeva con intensità, la notte si avvicinava e attorno si vedevano solo alberi carichi di neve e un assoluto silenzio.

Il paesaggio era irreale, io ero sfinito ma si continuava a camminare. Il disagio che provavo era anche per i militari, uno di questi mi si avvicinò e mi mise sulle spalle un nastro di munizioni per mitragliatrici, un altro tolto l'otturatore dal moschetto me lo pose sulla mia spalla libera. Mi sentii svenire, al mio fianco arrancava un mulo, mi attaccai alla coda dell'animale e mi feci trascinare. Questa situazione durò ben poco, sentii che le gambe non reggevano più. A un tratto lasciai la presa che mi teneva legato alla coda e caddi pesantemente a terra.

Quando mi rialzai mi accorsi che ero rimasto solo: silenzio assoluto. Mi chiesi: Cosa faccio, dove vado?. Una decisione la dovevo assolutamente prendere. Devo vivere, mi dissi, perciò abbandonai ciò che i tedeschi mi avevano caricato sulle spalle e cominciai a dirigermi, dove? Pensai che la soluzione più idonea era forse scendere verso il basso, perciò mi mossi sperando nell'aiuto del buon Dio.

Elio Biagini
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