Il socio Virginio Cupioli (Tonino), classe 1926, pensionato FS, già Capo Stazione Superiore, attingendo dai suoi inesauribili ricordi, in questo scritto sulla città d'anteguerra si sofferma sulla descrizione del Borgo Marina, da lui definito un'appendice del rione Castellaccia.
Il Borgo Marina discendeva dalla Castlaza (Castellaccia), iniziava da via Mameli detta cuntreda pécula (contrada piccola) dove c'era la funtaneina (fontanina) dalla quale le donne attingevano acqua per i bisogni giornalieri e i ragazzi per gioco se la schizzavano, calava verso la marina, si apriva alle vie e viuzze dette cugoll e cugolett per associazione marinara alle reti da pesca (bartuello, rete a sacco, nassa) fino alla cuntreda granda (contrada grande), l'odierna via Roma già via Dei Mille, percorsa dal trenino delle ferrovie Padane da piazza Clementini al pittoresco porto.
Si parlava un dialetto con inflessioni venete marinaresche diverso da quello parlato in altre borgate ed era prevalentemente abitato da pescatori, marinai, cordai, calafatari, vetturini, frequentato da gente di altri borghi per i riferimenti sociali ivi esistenti. Il borgo di prima mattina, e durante la giornata, era percorso dalle carrette e carriole delle donne dei pescatori che trasportavano il pesce da vendere in Pescheria, indi si ravvivava col variegato vociare dei residenti che iniziavano le consuete attività domestiche. Più tardi arrivava la carbonaia col suo triciclo, la Ida Cesari, donna operosa e forte che forniva di carbone le massaie per i fornelli da cucina.
Nel borgo esercitavano molte osterie assai frequentate dagli abitanti locali, dai marinai dei trabaccoli da pesca e da trasporto, dagli scaricatori di porto, dai facchini di città, dai paratori e altri richiamati dalla nomea degli esercizi che si chiamavano: Brighi via Farini, Capetul via Santa Maria al Mare, Cavec via Clodia, dalla Livia Tonini in via Ducale, dai Reduci in via Cavalieri, da Barol dove venivano degustati succulenti brodetti di pesce e di lombardone (stoccafisso), tenere trippe, intingoli di budelline, bagnati da boccali di vino spillato dalle cannelle delle botti, seguiti quasi sempre da cantate e cori in allegria.
Molte erano le botteghe artigianali di falegnameria, situate per lo più nei fondaci o canevoni della Repubblica di Venezia in disuso, quasi tutti lavoravano per l'imprenditore Zangheri noto antifascista; così tali botteghe erano covi di anarchici e socialisti eversivi, come risaputo dalle autorità fasciste che tolleravano e solo in certe ricorrenze portavano in guardina per qualche giorno i più noti esponenti. Vi trovavano lavoro molti apprendisti e particolarmente i lustrot, lucidatori, perché in quel tempo era usanza avere mobili, porte, portoni e finestre lucide.
Virginio Cupioli