Siamo nella primavera del 1988 e il mio caro collega di prima Branca, sezione Ordinativi, Giuseppe Bardeggia, Pino per gli amici, a malincuore ci comunica che a causa di motivi di salute dovrà rinunciare alla sua grande passione sportiva, il calcio. In compenso però i medici gli vengono in aiuto suggerendogli di andare in bicicletta. Non se lo fa dire due volte e subito si procura una bella bici da corsa per poi pedalare sulle strade collinari della Romagna.
Trascorsi alcuni mesi, si sente già allenato per praticare strade un po' più impegnative, come il Carpegna e le Balze. Arrivato il mese di luglio, si sente pronto per tentare la grande impresa dolomitica. Questo perché nel mese di settembre si troverà in ferie in quel di Dobbiaco (Val Pusteria): località che, non essendo lontana dalle leggendarie Tre Cime di Lavaredo, gli permetterà di provare a conquistarle.
Nell'ascoltare questo suo proposito ho subito grossi dubbi che l'impresa di raggiungere la vetta sia alla sua portata, conoscendo bene l'erta salita che nei tratti finali ha pendenze di oltre il 25% e che nel Giro ciclistico d'Italia ha sempre messo in difficoltà corridori professionisti. Il mio dubbio non riguarda la sua grande volontà, ma l'impresa che richiede uno specifico e prolungato allenamento per essere affrontata al meglio. Fatto sta che, arrivato il momento di partire per le vacanze montane, carica il suo cavallo di acciaio sull'auto e una volta raggiunto il luogo di soggiorno, un bel dì mette in atto l'avventura. Da Dobbiaco e dalla valle raggiunge Misurina, un'occhiata all'incantevole veduta con in lontananza le Tre Cime. Fa una breve sosta rifocillandosi con un bel panino, cavalca il suo cavallo e si avvia per gli ultimi chilometri per raggiungere l'agognata cima.
Nel mese di agosto, circa un mese prima che il nostro Pino mettesse in atto il suo tentativo, io gli avevo dedicato una poesia di merito, immaginando già quello che sarebbe accaduto. Una volta scritta e chiusa in busta, dopo essere stata sigillata dal nostro capoufficio, il signor Ravasi, viene chiusa a chiave nel cassetto della sua scrivania. La lettera, al ritorno dalle ferie e alla ripresa del lavoro, è data al destinatario che, una volta letta, si commuove e mi chiede come ho fatto a indovinare tutti i particolari del suo mancato sogno. Per inciso il titolo della poesia era questo: L'incompiuta (ovvero: la mancheda conquesta d'un nuvel ciclesta).
Andreano Ceccarini