CONTADINO ROMAGNOLO

Barbara e Vincenzo Santolini hanno raccolto le memorie di Guido Ceccarelli di Montetauro di Coriano, classe 1926. Una sua storia giovanile prevalentemente vissuta in campagna, fatta di sacrifici di duro e onesto lavoro.

Il 10 giugno 1940 l'Italia entra in guerra, io avevo 14 anni. Mio padre Giuseppe ne aveva 42 e fu immediatamente richiamato sotto le armi, in servizio presso l'arma dei carabinieri, che lui amava tanto, era tanto orgoglioso d'indossare quella divisa. Tornò a casa solo il 20 aprile 1944. Al ritorno fu tanta la sua felicità nel rivedere la sua famiglia incolume che, non trattenne l'emozione, si mise a piangere come fosse un bambino.

Nel 1940, alla partenza di mio padre io rimasi con mia madre Rosa e con i miei fratelli più piccoli a lavorare il nostro podere, che in parte era pianeggiante lungo il fiume Marano e in parte in collina verso la chiesa di Montetauro. Il podere era coltivato a grano, granoturco, canapa, lino e orzo, poi c'era una parte coltivata a prato erba medica (spagnera) per il fieno da dare al bestiame, qualche filare sparso di vite, qualche melo, pero, pesco, ciliegio, noci e ulivi, oltre a piante di quercia, dove si raccoglievano le ghiande per alimentare i maiali. Nei boschetti lungo il fiume si raccoglieva la legna secca per il riscaldamento e il forno. Vicino a casa c'era l'orto per l'insalata, l'aglio, la cipolla, le patate, i cavoli, le rape, ecc.; in estate i meloni, le angurie, i cetrioli, le zucchine, i piselli, i fagioli, ecc.

A Montetauro c'era un proverbio che diceva: i pienta i cavlè e i nas i diavlè (piantano i cavoli e nascono i diavoli), riferito al terreno argilloso non favorevole alle colture. Provvedere all'orto era il compito di mia madre e delle mie sorelle, che accudivano anche i polli, i conigli e le anatre. Come pure si occupavano di fare le stoffe con il telaio, lenzuoli e federe di canapa e lino e la sera filavano con la rocca e i filarini.

Noi tre maschi in inverno facevamo i lavori di campagna, la potatura delle viti e la raccolta delle ulive; in casa nella stalla si facevano chiacchierate e qualche partita a carte. Sotto il portico si facevano ceste di vimini (vinchi), i panieri con le spaccate e i vimini, si segava e spaccava la legna per l'inverno, ch'era sempre molto freddo e con tanta neve.

Nella stalla avevamo due vacche da rigovernare, alle quali si dava da mangiare la trida erba, paglia e fieno tritati insieme con la macchina a mano (trita foraggio). Era un lavoro molto faticoso. Grande era la festa per l'uccisione del maiale, si lavoravano le sue carni ed era un vero avvenimento.

Vi erano altri lavori da dedicare alla campagna: vangare le viti, seminare il grano, togliere le erbacce, con le zappe (al sape) e si camminava a piedi scalzi. Inoltre bisognava legare le viti con vinchi, spargere letame con la forca, usare l'erpice, si usavano le attrezzature con l'ausilio dei buoi. Con pompa in spalla si irroravano, con acqua di rame e zolfo, i nuovi getti delle viti, si legavano i nuovi getti con legacci.

Guido Ceccarelli