Elio Biagini (1923 - 2005), già ferroviere e sindaco revisore al DLF, vissuto nella frazione cittadina di Viserba, durante il II conflitto mondiale svolse servizio militare in Albania. In questo suo scritto ripercorre le vicende che lo videro protagonista dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943. Aggregatosi a formazioni partigiane e poi ritrovatosi isolato in montagna, ci narra le sue vicissitudini per sfuggire ai rastrellamenti tedeschi.
Davanti a me c'erano solo montagne e boschi, l'unica compagnia era il mormorio dell'acqua limpida del fiume che stavo costeggiando. Ogni tanto mi fermavo per dissetarmi. Case non ne vedevo, ogni tanto incontravo qualche rudere di ovile con il segno inconfondibile di un incendio causato da qualche colpo di mortaio. Incominciai a preoccuparmi: la notte era prossima, perciò dovevo prendere una decisione sul da farsi.
Prima di tutto pensai al mangiare, con me avevo solo la gavetta. Notai che lungo il fiume vi erano tante tartarughe, pensai subito che il cibo fosse a portata di mano, così mi procurai dei ciottoli di grosse dimensioni per fare il fuoco. Cercai la legna che abbondava e infine mi misi a cacciare le tartarughe che non mi crearono problemi per la cattura. Riempii una gavetta d'acqua, accesi il fuoco e infine presi una bella tartaruga che misi in verticale su una pietra e con un forte colpo ben assestato con un'altra pietra la spaccai in due parti.
Non sono un assassino, ma la fame me lo impose. La povera tartaruga aveva tante uova, la scuoiai privandola del suo forte guscio, la pulii bene lavandola nell'acqua del fiume e infine la sistemai dentro la gavetta dove l'acqua aveva già cominciato a bollire. Mentre la carne stava cuocendo, cercai di individuare se in lontananza vedevo la casa che avrei dovuto raggiungere in base alle indicazioni ricevute. Niente di niente, sola natura.
Oscuri pensieri mulinavano nel mio cervello, mi chiedevo se questo nuovo rifugio lo avrei mai trovato. Le truppe tedesche agivano in modo brutale incutendo nel popolo albanese tanta paura; perciò, dare ospitalità a un bandito italiano, così eravamo chiamati dopo l'8 settembre, era un azzardo troppo grosso. Mentre facevo queste riflessioni, la tartaruga stava cuocendo e io mi preparavo a consumare il pasto.
Quando iniziai a mangiare, mi resi conto che quando si ha fame l'essenziale è riempire lo stomaco. Stavo mangiando una carne insipida, che facevo fatica a masticare e ancor di più a inghiottire. Comunque, la povera tartaruga con le sue uova sparì nel mio intestino. Prima di partire spensi il fuoco, lavai la gavetta e mi misi in marcia. Seguii il fiume sempre a testa alta e lo sguardo sempre attento per vedere la sospirata casa che mi aveva indicato il partigiano.
Finalmente in lontananza le mie orecchie sentirono un ben distinto tintinnio emesso dal campanaccio che portava una pecora del gregge. Il mio cuore, sparita l'apprensione, tornò a battere regolarmente e mi avvicinai al pastore. Salutai e mi presentai cercando di spiegargli chi ero, dove ero diretto e se dovevo percorrere ancora tanta strada. Il pastore, che portava un fucile moschetto a tracolla, mi squadrò da capo a piedi, facendomi capire in uno stentato italiano che difficilmente sarei stato ricevuto in casa perché gli albanesi avevano il terrore che poi i tedeschi per punizione la distruggessero.
La luce del giorno se ne stava andando, calavano le prime ombre, il pastore riunì il gregge e si avviò verso la sua dimora. Io lo seguii nella speranza di essere ospitato. La casa portava evidenti i segni di essere stata colpita da bombe. Era stata semidistrutta dai militari che occupavano l'Albania. Il pastore ricoverò il gregge nell'ovile; terminato il lavoro, si diresse verso casa e io lo seguii sperando di essere accolto e ospitato per la notte.
Entrato in casa, notai subito, incrociandone lo sguardo, l'imbarazzo provocato dalla mia presenza nell'uomo che doveva essere il capo famiglia. Si rivolse al figlio per sapere chi fossi e cosa volevo, la voce dell'anziano era molto alterata, il suo disappunto per il mio arrivo era evidente. Ci fu fra i due una vivace discussione, poi l'anziano mi si avvicinò e usando un tono di voce quasi compassionevole mi concesse di dormire in casa. Forse comprese e valutò la mia pericolosa posizione. Fui sistemato in uno stanzino presso l'ovile, con l'ordine perentorio che all'alba me ne andassi.
Durante la notte dormii pochissimo, il belare delle pecore e il ragliare dell'asino certamente non conciliarono il sonno.
Elio Biagini