QUADERNETTI DEI CLIENTI

Franco Fontemaggi, classe 1930, già abitante del sobborgo Castellaccia, ha lasciato ricordi dei suoi periodi giovanili; in questo si sofferma su aspetti di vita del dopoguerra e sugli strani personaggi di cui ha ancora vivo il ricordo.

La gente per un nonnulla bisticciava, ma all'indomani amici come prima. C'era una grande miseria e contro qualcuno e qualcosa ci si doveva ben sfogare. Solo Putac restava calmo perché la sua mente era annebbiata dall'alcool; a piedi scalzi (i due alluci enormi) vagava sul ciottolato della piazzetta. Silvio ripeteva a iosa: Dove passa Silvio passa l'amore, e passa un pataca. Nasi anche lui nel fumo dell'alcool gridava: Posso, comando, voglio, evviva Nasi.

Sulla piazzetta Agabiti, di fronte alla cantinetta del Nin, i miei genitori avevano un piccolissimo negozio di generi alimentari; pesavano e incartocciavano con carta oleata e carta paglierina: un etto di tonno, venti grammi di conserva, un etto di marmellata, un mezzo pacchetto di burro, un chilo di patate, tre decilitri di olio e la lista continuava sui quadernetti col nome dei clienti. Chi alla fine del mese non poteva pagare si raccomandava con mia madre: Clam creda, stelt mes a pegh tot (Mi creda, il prossimo mese pago tutto), o chi mandava un bambino, Mi può segnare due etti di mortadella? Mia mamma passa domani.

Tutto questo durò per un paio di anni fin quando i miei chiusero bottega e misero un banco in piazza. Di buon mattino li aiutavo a trasportare il banco e le merci, poi poco a poco la piazza si animava del vociare della gente, mentre gli ambulanti mettevano in bella mostra le loro merci ed escogitavano ogni stratagemma per invogliare all'acquisto. Il venditore di stoviglie, ad esempio, era un vero giocoliere da circo: lanciava in aria dodici piatti che ricadevano fra le sue mani con un fracasso assordante senza rompersi o graffiarsi.

Sul banco dei miei genitori c'erano diversi articoli: nastri, elastici, indumenti intimi per uomo e donna, pullover, sciarpe, fazzoletti da testa di seta o di lana, fiorati e vistosi, come quelli delle matrioske russe. Mia madre poi aveva un vasto assortimento di pizzi di cotone fatti all'uncinetto, alti anche più di mezzo metro, che servivano al decoro degli altari; e ogni specie di dentelle anche di seta, oppure davantini che le donne mettevano al collo dei loro vestiti. Se una signora trovava il prezzo un po' caro mia mamma la redarguiva: Mo s'gnora, quest lé sciangal. (Signora, ma questo è sangallo).

Quando il garbino e il libeccio si ingarbugliavano, il banco con la sua tenda sembrava prendere vela, allora prontamente con corde e pioli lo fissavamo a terra, ma ugualmente la pioggia riusciva a bagnare ogni cosa; i miei raccoglievano tutto alla rinfusa, poi a casa stendevano ogni cosa ad asciugare sui mobili e sul letto: sembrava un campo di battaglia. Quante volte ho letto sui loro volti la tristezza e lo scoraggiamento per l'asprezza del loro lavoro!

Ricordo mia madre con la sciallina sulle spalle, calzettoni e zoccoli ai piedi, affrontare i rigori dell'inverno ed esortarmi ad andare nei locali della Posta, (situati allora in piazza Cavour al pianterreno del Palazzo del Podestà), luogo dove si raccoglievano decine di poveri infreddoliti attorno ai termosifoni, come i barboni attorno a un raggio di sole nel film Miracolo a Milano di Vittorio De Sica. Ricordo mio padre, stanco e affamato, rientrare dal mercato di Viserba in bicicletta con due valigie caricate sul portapacchi, sudato e con le mani sporche dell'unto della catena che gli era uscita dagli ingranaggi, gettare la bicicletta con il suo carico contro il muro di casa, mentre nei suoi occhi dolci appariva la rabbia per la fatica mal ricompensata.

Franco Fontemaggi