COTRAPPOSIZIONI SPORTIVE

Zeno Zaffagnini 1932 - 2019, Sindaco di Rimini 1978 - 1983. Nacque a Imola da dove si trasferì, come funzionario di partito, a Rimini nel 1950. Scrisse della sua vita e qui viene riportata una parte delle sue memorie in cui rievoca la sua fervente passione sportiva.

La mia gioventù è stata contrassegnata da un caleidoscopio di tanti interessi. Rovistando nella mia memoria mi viene in mente lo sport; non sono mai stato un praticante e quando ho giocato a calcio l'ho fatto senza costrutto, ma appassionato e tifoso questo sì, e lo sono ancora, di tante discipline sportive. Il calcio era al primo posto, seguivo l'Imolese che giocava in serie C, e la Nazionale che nel '38 vinse il secondo titolo mondiale. Seguivo soprattutto l'Internazionale, di cui divenni tifoso.

Questa mia passione è nata casualmente, come avviene tante volte nella vita. Era il 1940: andai a Bologna con uno zio per vedere la partita Bologna - Ambrosiana Inter. Il Bologna era una grande squadra che vinceva i campionati; era, come dicevano i suoi tifosi, lo squadrone che tremare il mondo fa. Quel giorno però vinse l'Ambrosiana per 3 a 1. Da allora divenni un tifoso, tifo che si rafforzò quando, dopo la guerra, la mia squadra tornò a chiamarsi Internazionale, perché il nome Ambrosiana era stato imposto dal fascismo che aveva ritenuta sovversiva la denominazione originale. Insieme al calcio mi appassionai di ciclismo, sport fra i più belli.

Nel 1946, dopo la guerra, ripresero le gare e su Imola gravitava un giovane ciclista molto promettente, Drei, nativo di Riolo Terme, del quale al Bar dello Sport eravamo tutti sostenitori. Si dovevano svolgere i campionati del mondo dilettanti e a Parma era stata organizzata una gara per selezionarne i partecipanti. Un gruppo di tifosi organizzò una trasferta per sostenere il nostro campioncino e io mi aggregai al gruppo. I mezzi di trasporto erano ancora precari, le ferrovie funzionavano con difficoltà perché la guerra era finita da un anno, perciò si decise di affrontare la trasferta con un camion preso in affitto, attrezzato con panche.

Si partì da Imola a mezzanotte per essere a Parma il mattino. La corsa si svolse alla periferia della città, Drei fu secondo. Fu una bella avventura per un ragazzo di quindici anni, tant'è che il ricordo di quel viaggio è ancora vivo in me. La passione per il ciclismo aumentò, e fu quasi un'esplosione, sull'onda del dualismo che divideva l'Italia fra coppiani e bartaliani. Coppi e Bartali erano due grandi campioni, vinsero numerosi Giri d'Italia e Tour de France, tante classiche dalla Milano - Sanremo al Giro di Lombardia. Bartali vinse un Tour de France nel 1948, mentre l'Italia era sconvolta dalle manifestazioni per l'attentato a Palmiro Togliatti.

Leggenda vuole che l'annuncio di quella vittoria sia stato il migliore antidoto per calmare le acque. Forse l'affermazione è esagerata, ma qualcosa di vero c'è. Oggi, che il fervore delle polemiche si è raffreddato, debbo riconoscere che Coppi è stato superiore a Bartali, perché eccelleva in pianura, in montagna, in volata, a cronometro; il suo primato dell'ora ha resistito a lungo. Le mie simpatie, però, andavano a Bartali, ne ero accanito tifoso perché lo giudicavo più genuino, più ruspante. Di Coppi, fra l'altro, si sussurrava che facesse uso scientifico della chimica, pratica all'epoca artigianale.

Il dualismo della tifoseria, che si registrava come abbiamo visto nel ciclismo, esisteva però anche nel motociclismo: Guzzi contro Gilera: Omobono Tenni contro Alberto Pagani. A causa loro, nascevano discussioni a non finire; d'estate si facevano le ore piccole seduti fuori dai bar e dai caffè, anche dopo che questi avevano chiuso: si discuteva di uno sport ancora romantico che si svolgeva in circuiti cittadini (di autodromi c'era solo quello di Monza). La tecnologia non era ancora esasperata com'è attualmente e il contributo del pilota era determinante per la vittoria. La mia passione e il mio tifo andavano alla Guzzi e a Tenni, una specie di Nuvolari del motociclismo, temerario e capace di imprese memorabili che avevano dell'impossibile.

Zeno Zaffagnini