STORIA VERA ANCHE SE... C'È NATALE E NATALE

Ricordo i tempi in cui mia madre evirava i galletti. Con questa operazione, perdevano la loro virilità e diventavano gli eunuchi del pollaio. Immagino che le galline si chiedessero: Perché non ci corteggia più? Starà male?. Poi notavano la strana mancanza della cresta (anche questa gli asportava mia madre), segno di dignità gallesca e lo escludevano dai loro pensieri. Ma per cattiveria femminile e per umiliarlo lo chiamarono cappone.

Non vi dico le risatine sotto i bargigli dei galletti ancora dotati, per superiore volontà, dei loro attributi. La cattiveria gallesca raggiungeva il culmine quando, per esprimere questa loro presunta superiorità, intonavano a gozzo spiegato il loro canto di guerra chicchirichiiiiiì. Così umiliato, il povero cappone, che aveva perso anche la dignità del proprio nome, se ne stava in un angolo appartato in preda ai suoi pensieri.

Per sconfiggere la depressione mangiava, mangiava e mangiava, fregandosene della dieta pollaiola. Facendo così, ingrassava, che era poi lo scopo di mia madre. (Com'è buono il brodo di Natale fatto con il cappone grasso!). Questa operazione di alta chirurgia pollaiola veniva eseguita nell'ambiente sterile della nostra cucina. Ricordo mia madre che prendeva il galletto, lo spennava nelle parti intime, poi lo metteva in una posizione non consona alla dignità gallesca, prendeva un bisturi che, ricordo, assomigliava molto a un coltello da cucina e procedeva all'incisione.

Fatto ciò, estraeva dalla loro sede naturale i gioielli di proprietà del malcapitato, poi ricuciva con ago da lana e filo di cotone. Una passatina di olio d'oliva sulla ferita, poi gli tagliava la cresta e lo metteva in camera di rianimazione che mio babbo chiamava e croin arbalted (io non sono pratico, ma assomigliava molto a quei cestoni di vimini che usavano i contadini). Mia mamma sosteneva che ciò serviva a proteggere le parti nude dell'evirato dalle beccate dei suoi ex colleghi. Ma io non ci credo; poveretto, sarebbe stato il colmo, dopo il danno anche la beffa!

Dopo qualche giorno lo dimetteva. Lui se ne andava non rendendosi ancora conto del fatto e, contento per la sua dimissione, provava e riprovava il suo chicchirichì che, dopo l'intervento, gli usciva con voce che, oserei dire, chioccia. Da quel giorno, in attesa dell'ultimo suo giorno, cambiava bagno e andava in quello delle galline; ci provava gusto a rimirarsi nello specchio davanti al quale le galline si lisciavano la piccola cresta cantando il loro coccodè. Ma anche il coccodè non gli riusciva. Insomma, anche lì era un estraneo. Poi arrivò il Natale e tutto finì lì per lui, ma non per noi che apprezzavamo il suo sacrificio sullo stesso tavolo dove era stato evirato.

Godeva anche Ruby, il nostro cane, che si leccava i denti con le ossa che mio padre gli lanciava. Ho detto gli lanciava, perché Ruby era sempre legato a una catena con un anello inserito in un filo che andava dalla strada alla nostra casa, per una ventina di metri.

Io mi sono sempre chiesto perché il chirurgo fosse sempre una donna di casa e non l'uomo. Una risposta me la sono data, ma si tratta di una risposta maschile. L'uomo non se la sente di compiere quell'operazione perché pensa a se stesso... (se fosse al posto del povero galletto?).

Filippo Vannini