LA CASERMA DI VIA DUCALE

Il borghigiano riminese della Castellaccia Franco Fontemaggi, classe 1930, ci ha lasciato un racconto di come nell'immediato dopoguerra si trastullasse a volte lui bambino nel suo quartiere. Come trasformare in un oggetto di gioco un vecchio cancello in metallo.

A metà della via Ducale, fra la omonima piazzetta e il corso d'Augusto, là dove si è poi esteso il palazzo dell'Aiuto materno, esisteva un agglomerato di case con un grande cortile, sulla cui volta d'entrata si poteva leggere labile una scritta sui mattoni Caserma Ducale. In effetti da tanti anni era stata trasformata in misere abitazioni con un piancito di asse di legno putrido e un forte odore di disinfettante che veniva spruzzato fin dentro i letti per paura dell'espandersi del pidocchio.

Sovente il Servizio d'Igiene si premurava di radere a zero la testa dei bambini, che assumevano così un aspetto ancora più miserevole. In una di queste case abitavano i miei cugini, di loro conservo una vecchia foto con mia zia e i sette figli (un mio cugino appare con la testa rapata e con un orzaiolo in un occhio). È la foto che mandarono a mio zio volontario in guerra d'Abissinia (si legga per fame al posto di volontario).

Fra i ricordi delle cose che non esistono più, c'è il vecchio portale arrugginito che chiudeva l'ingresso alla caserma. Questo di certo, non aveva il valore di un reperto archeologico ma per noi bambini, che lo usavamo come un carosello, resta un cimelio della nostra infanzia; ci arrampicavamo su a grappoli e via a spingerlo per una corsa a centottanta gradi; i gangheri, arrugginiti e sotto il nostro peso, stridevano fino a divenire un lamento, un bisbiglio di voci umane.

Di tutto questo non resta più niente, solo una lapide incastonata nel muro ricorda che li vi furono catturati i tre partigiani Nicolò, Paglierani, Cappelli. Ai quali dopo la Liberazione venne poi dedicata la piazza, dove furono impiccati, Tre Martiri (già Giulio Cesare). Tre ragazzini nemmeno ventenni, che avevano impugnato le armi e che nella Ducale avevano la loro tana.

Dove, a un solo mese dalla liberazione della città, vennero sorpresi e catturati da un reparto di tedeschi e fascisti. Giovani che avevano capito che, a costo della vita, non era sufficiente fare qualche scritta di notte sui muri per opporsi e farla finita con la sporca guerra. Non c'è più il vecchio cancello ma resta il ricordo del suo stridente e assordante piacere.

Franco Fontemaggi