BOMBARDAMENTO A TAPPETO
Memorie di guerra

Impressionante fu il bombardamento a tappeto dei primi di settembre del 1944, precisamente la sera del 18. Quella sera, particolarmente buia, appena dopo cena, mio padre era intento alla vendemmia: schiacciava col pugno pochi grappoli d'uva all'interno di una pentola. Aveva già riempito un fiasco di dolce succo quando mia madre, uscita di casa per gettare gli scarti, rientrò tutta spaventata richiamando l'attenzione di mio padre su ciò che aveva appena veduto. Usciti, davanti ai nostri occhi, si parò uno spettacolo unico che, anche se piccino, a quel tempo avevo circa sette anni, non potrò mai dimenticare.

Dal mare stava avanzando verso noi, ingigantendo a vista d'occhio, una illuminazione a giorno generata da un enorme lancio di bengala. Mio padre, intuendo quello che stava per accadere, disse di mollare tutto e correre a rifugiarci in una fossa poco distante da casa, che fungeva precariamente da rifugio, scavata appositamente nel terreno e ricoperta da grossi tronchi. L'azione si svolse fulminea. A malapena riuscimmo ad arrivare al precario riparo dove, poco dopo, solo un certo Pietro, nostro lontano parente, riuscì a raggiungerci.

Improvvisamente l'inferno si scatenò tutto attorno e sopra di noi. A quanto ho potuto apprendere, a sganciare bombe c'erano quattrocento fortezze volanti, (B.R. 20) e non so quante navi facessero tuonare i loro cannoni. Gli scoppi assordanti coprivano il rumore degli aerei e frastornavano la mente. Mio padre che solitamente tranquillizzava gli animi, taceva, la mamma pregava raccomandandosi alle anime dei defunti; Pietro si era gettato a terra a braccia aperte e continuava a ripetere con la disperazione più vera: Ecco, è l'ultima, è la fine.

Il bombardamento, come improvvisamente era iniziato, così ebbe termine. Il silenzio che seguì dopo quel rumore assordante, pareva irreale, palpabile in un tempo sospeso. Provammo a uscire all'aperto. Non fu possibile: un acre odore frammisto di fumo e polvere da sparo ci impediva la respirazione. Attendemmo per qualche tempo e poi, coperta la bocca con fazzoletti, osammo farlo. Fuori era il caos. Chi chiamava i propri cari, chi piangeva disperato: era un correre caotico per ogni dove.

Poco dopo giunsero due giovani militari tedeschi, unici superstiti di una grossa batteria antiaerea piazzata a non più di un chilometro da lì. Erano laceri, insanguinati e disperati. Ricordo ancora le loro parole: Nostri camerati tutti morti..

Mio padre disse: Senz'altro ora scateneranno l'offensiva, qui siamo in un punto strategico, forse è più saggio andarcene.. Parlò con un vicino di casa che possedeva un birroccio, invitandolo l'indomani mattina a caricare assieme le cose indispensabili di entrambi e andare verso il mare perché, restando, probabilmente ci saremmo trovati coinvolti in una feroce, terribile battaglia. Visto che il vicino non intendeva ascoltare i suoi consigli, ci arrangiammo da soli.

Al mattino partimmo dirigendoci verso il mare. Il perché di quel bombardamento penso si debba ricercare nel fatto che gli alleati, avendo necessità di avanzare e incontrando una caparbia e valida resistenza, non avevano trovato altra soluzione se non quella di fiaccare la prima linea dando una decisiva e robusta spallata. A convalida di quanto affermo, ci sono testimonianze fotografiche che evidenziano il grande spessore della resistenza tedesca.

Per rigore di cronaca, la linea gotica, che andava dall'Adriatico al mar Tirreno, lunga 320 Km e luogo di passaggio obbligato per i collegamenti orientali fra nord e sud Italia, fu pesantemente colpita dai bombardamenti: 396 aerei (di cui uno tedesco) e 14 navali. La città di Rimini alla fine del conflitto era distrutta all'85%.

Benito Colonna