Prima di descrivere i fatti, faccio una premessa. Vorrei che questo racconto, relativo alla seconda guerra mondiale, non fosse inteso come patetici ricordi di un vecchio, ma come testimonianza di vita realmente vissuta, da cui trarre possibilmente consapevolezza di cosa possa significare per tutti vivere una guerra.
Ripeto quanto disse Einstein: Non so con quali armi sarà combattuta la terza guerra mondiale, ma so con quali sarà combattuta la quarta: LE PIETRE.
Vengo al racconto.
Autunno 1944, avevo sette anni. Il fronte di guerra si trovava a sud di Rimini. Scampati al bombardamento del castello, il cui racconto è stato pubblicato precedentemente, i miei genitori e io, abbandonata la casa, ci siamo trasferiti in un rifugio presso un contadino nelle vicinanze che si chiamava Berardi (Zicheta). Era stato ottenuto ricoprendo un fosso con dei tronchi ai quali veniva sovrapposta della terra. Eravamo una ventina.
Un ricordo di quei pochi giorni è quello di un paracadutista inglese che scendeva dal cielo, essendo il suo aereo stato abbattuto dalla contraerea tedesca. Per noi bambini era uno spettacolo. Meno lo era per quel poveretto. Giunto a terra, venne nascosto in un porcile da due amici di mio padre. Subito rintracciato dai tedeschi, venne fatto prigioniero e i due soccorritori fucilati sul posto. Ricordo il nome di uno dei due: Enrico Petrucci (sul posto esiste una lapide a Osteria del Bagno nell'omonima via).
Tornando al rifugio, gli uomini ne costruirono un altro più sicuro, fuori dal fosso. Il giorno seguente al nostro trasferimento in quello nuovo, il vecchio, appena abbandonato, venne colpito da una bomba. Mio nonno materno che si trovava all'esterno, rientrò con in tasca una scheggia incandescente proveniente dalla bomba appena esplosa. A questo punto, vi era l'esigenza di andare verso Sud incontro al fronte, per passare (sperando in modo incolume) dalla parte dei liberatori, cioè l'esercito alleato che stava occupando la città di Rimini.
Arrivammo a Viserba in un vecchio mulino ad acqua, dove sul fossato interno erano state poste di traverso delle tavole di legno sulle quali eravamo una quarantina di persone. Ci trovavamo esattamente in mezzo al fronte. A Rimini gli alleati, a Torre Pedrera i tedeschi e noi a Viserba in un vecchio mulino! Le granate (così venivano chiamati i proiettili lanciati dai cannoni) ci sorvolavano sibilando. I tedeschi sparavano verso gli alleati e viceversa. Noi in mezzo.
Non ricordo per quanto tempo, ma ricordo il grande numero di rosari e Ave Maria recitate. In certi momenti non vi è altro da fare che sperare e pregare. Vi assicuro che lo facevano anche coloro che non avevano fede. Mi è rimasta anche impressa la voce di mio padre che a ogni percezione di sibilo commentava: Anche questa è andata, riferendosi al fatto che quando si sente il fischio, il proiettile sta andando oltre. Infatti, se il bersaglio fossimo stati noi, non avremmo avuto il tempo di sentirlo. Il mulino non venne colpito e noi ci salvammo. Finalmente gli alleati riuscirono a respingere i tedeschi e il fronte si spostò verso Nord.
Filippo Vannini