RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO

Negli ultimi due numeri del Notiziario LA NOSTRA VOCE, sono stati pubblicati due articoli: MEMORIE DI UN FERROVIERE di Giuseppe Canarecci e TRENO 152 di Filippo Vannini.
Ringrazio i due Colleghi per le loro interessanti testimonianze, ma soprattutto per avermi creato l'occasione di riaprire l'armadietto dei ricordi. Siccome in entrambi i casi il verificarsi degli eventi mi coinvolsero in prima persona, oggi considero utile portare il mio modesto contributo al fine di puntualizzare e completare le notizie e la cronaca dei fatti accaduti così come sono stati raccontati dagli autori succitati.

All'amico Canarecci tengo a precisare che i lavori per l'elettrificazione della linea Ravenna - Castelbolognese furono ultimati nel mese di maggio 1960, quindi molto prima dei tempi da lui citati; ciò vuol dire che molti disagi e molti impegnativi lavori erano già stati superati (vedi cambio trazione).

Un documento ufficiale è rappresentato dalla fotografia allegata che ritrae il momento storico della cerimonia inaugurale celebrata sul terzo binario della stazione di Castel Bolognese, alla quale presero parte tutte le Autorità (civili, politiche, religiose e ferroviarie) per assistere al taglio del nastro tricolore da parte dell'On. Benigno Zaccagnini... Da notare tutti i presenti a capo scoperto per la benedizione appena impartita dal Vescovo, compreso il sottoscritto (in divisa, ovviamente, poco più dietro in mezzo al binario).

Dopo un lungo periodo trascorso in Sardegna presso la stazione di Abbasanta (Cagliari), il 12 aprile 1960 feci ritorno in Continente con destinazione Castelbolognese - Riolo Terme. Stazione considerata da molti colleghi la peggiore di tutta la linea Rimini - Bologna (dove nessuno ci voleva andare) in quanto dotata di un piazzale del tutto inadeguato per assolvere la mole di lavoro che quotidianamente bisognava svolgere. Pochi ma capaci e volenterosi erano, dunque, i D.M. (Dirigenti il Movimento) che si avvicendavano per coprire il turno di servizio P.M.N.

Subito mi resi conto di essere finito in una stazione palestra dove per svolgere il proprio lavoro occorreva cimentarsi in una vera gara a ostacoli. Saltare da un binario all'altro, su e giù sui marciapiedi, oppure salire e scendere da treni e materiali vari in sosta che impedivano le passerelle. Mai un momento di tregua. Dentro e fuori dall'Ufficio Movimento per la compilazione o la variazione e successiva consegna dei fogli di corsa corredati da una moltitudine di prescrizioni e avvisi (M.40, M.1, M.3, M.5, ecc.).

Quando poi si dovevano licenziare treni pari dallo scalo le difficoltà aumentavano; bisognava infatti recarsi in testa al treno dal macchinista e dal capotreno per la consegna di tutta la modulistica e per fare questo occorreva percorrere un lungo tratto (700-800 metri) nel minor tempo possibile perché l'itinerario di partenza impegnava, con la traversata, entrambi i binari, prima quello dispari e poi quello dei pari. Non meno gravoso era il lavoro del D.M. Interno, che consisteva nell'arduo compito di gestire e tenere fluida la circolazione, ossia di non fare vedere mai i segnali a via impedita ai macchinisti (se non giustificati), pena l'immediato rilievo del Titolare o del Capo 3° Reparto Movimento Rimini con l'emissione del famigerato P.141.

Il maggior lavoro si svolgeva di notte quando in circolazione erano i treni merci ai quali occorreva cambiare, oltre la trazione (vedi Canarecci), anche la composizione del convoglio in caso di manovra in base alle varie destinazioni dei carri. Il tutto poi sotto il peso di un'enorme responsabilità personale. Alla fine del turno, alle ore 6 del mattino, ci si salutava fra colleghi e, anche se molto stanchi, dentro di noi provavamo una grande soddisfazione per aver svolto al meglio il proprio compito che non era sempre lo stesso, ma ogni volta diverso.

A Filippo Vannini (che non ho mai avuto occasione di conoscere) il quale termina il suo articolo Treno 152 con queste testuali parole: Per quanto riguarda la responsabilità, risultò multipla, ma preferisco non parlare, vorrei chiedergli il motivo per il quale ha scelto di tacere.

Io invece intendo riportare in discussione l'argomento che fu molto dibattuto e commentato negativamente fra noi D.M. in servizio in quei giorni ancor prima di quel tragico incidente. Premetto che al tempo del disastro del treno 152, non prestavo più servizio a Castel Bolognese e che i ricordi di molti particolari, a distanza di tempo, non sono più cristallini.

Ricordo bene, invece, che qualche tempo prima, da Palazzo Pizzardi, venne diramato un Ordine di Servizio che stravolgeva il Regolamento Segnali. Infatti, previa modifica degli impianti, il D.M. poteva disporre sia il segnale di protezione come quello di partenza a via libera in binario deviato, ossia il doppio verde che fino allora era consentito solo per effettuare il libero transito del treno esclusivamente sul binario di corretto tracciato. Fu un esperimento che cessò prima di iniziare, se ne parlò molto poco, forse o quasi per insabbiare la cervellotica disposizione.

Il macchinista, poveretto, aveva ricevuto gli avvisi e le prescrizioni nella stazione di Ancona da dove iniziava il suo turno di servizio. Poi quello che è successo in cabina a nessuno è dato di sapere. I maligni si espressero in gergo ferroviario dicendo: è andato in oca. Il fatto è che su tutti i binari deviati la disposizione era di: non superare la velocità di 30 Km/h..

Giuseppe Pino Venturi (C.S. Sovrintendente) matr. 438164