L'IMPERO

Veniero Accreman (1923 - 2016), figlio di Ferroviere, sindaco di Rimini 1957-58, deputato per tre legislature, avvocato penalista, in questo suo scritto ripercorre, con i suoi ricordi da studente, la fase storica 1935/36 della guerra scatenata dal Regime per la conquista dell'Etiopia.

Ricordo l'anno della guerra d'Etiopia. La geografia mi appassionava; nelle cartine degli atlanti posseduti le colonie inglesi erano colorate in rosa e quelle francesi in viola; erano colori assai diffusi in tutto il globo; quelle due nazioni possedevano territori enormi in tutti i continenti e ciò suscitava davvero invidia. La radio e la scuola, oltre ai giornali, non facevano che ripeterci la grande ingiustizia storica, per cui quelle nazioni possedevano tante colonie e quindi erano ricchissime, mentre l'Italia - forte di tante braccia inutilizzate - era povera; e quelle nazioni egoisticamente contrastavano in tutti i modi l'aspirazione dell'Italia ad avere anch'essa un posto al sole, dove far lavorare i suoi figli.

Perché gli altri sì e noi no? Le motivazioni dell'impresa d'Africa sembravano giuste. Vennero contro di noi sanzioni economiche, decretate dalla società delle Nazioni: ingiustizia si aggiungeva a ingiustizia. Imparammo a memoria, a scuola, il discorso del duce pronunciato in quell'occasione; la voce metallica, tagliente, riempiva le orecchie e il cervello. A casa l'opposizione al regime rimaneva dura; a me le ragioni della guerra sembravano plausibili. Mi incantavo a ricopiare su carta da disegno la figura possente dell'Africa, con il poderoso corno centrale che la faceva rassomigliare a un rinoceronte; ne disegnavo l'orografia, i fiumi, i prodotti, e coloravo i disegni con vari colori.

I giornali recavano notizie e foto del passaggio delle navi italiane attraverso il canale di Suez; mostravano la navigazione nel Mar Rosso, le tolde imbandierate piene di giovani soldati festanti; ogni settimana la Domenica del Corriere pubblicava copertine entusiasmanti. L'adesione popolare, il successo della guerra, l'idea del futuro benessere adesso riempivano tutto l'ambiente e sembravano legittimare quel mondo col quale pure continuavo a sentirmi in contrasto.

Rimaneva l'odiosità delle parole e degli atteggiamenti dei fascisti, ma le adunate sembravano adesso il coronamento di un'attesa durata per anni. La proclamazione dell'Impero, con le piazze esultanti, diede il suggello a quel clima. Le celebrazioni della romanità nella capitale, tra i monumenti candidi di marmo, in mezzo al verde dei pini, sotto quel cielo azzurro, ebbero qualcosa di augusto, di maestoso; le grandi carte geografiche incise nel marmo in Via dell'Impero mettevano a paragone le conquiste romane di duemila anni fa e quelle fasciste di oggi; sembravano sancire davvero qualcosa di memorabile. Nelle scuole intere classe di alunni scrivevano che l'Impero era ricomparso sui colli fatali di Roma.

Veniero Accreman