Nei primi giorni di giugno del 1972 ero alla mia settima estate con l'incarico di marinaio di salvataggio al servizio dell'Azienda di Soggiorno Rimini. In quel periodo sostituivo per quattro giorni un collega nella zona centrale di Rivazzurra. Era una mattina limpida, il mare era calmo (bonaccia bianca); non conoscendo nessuno fra i presenti, decisi di uscire in anticipo con il moscone per un controllo. Erano passati dieci minuti e sentii gridare ossessivamente: Aiuto!, mi volsi istintivamente verso la direzione di provenienza di quelle urla e vidi in lontananza un pedalò rovesciato, a circa 600 metri, e quattro persone attorno che urlavano e che ripetutamente si immergevano.
Mi diressi il più velocemente possibile verso di loro. Le urla disperate furono udite anche dall'equipaggio di un barcone turistico che aveva invertito la rotta per prestare soccorso; i turisti a bordo, spaventati dalla scena, presero anch'essi a urlare. Capii che qualcuno era rimasto sott'acqua. Avvicinandomi, compresi dalle grida che si trattava di un bambino. Seppi poi che le persone in acqua erano i genitori e degli zii che, ormai allo stremo delle forze, non riuscivano più ad immergersi.
Raggiunto il pedalò, vidi che il bambino non era sul fondo e che sicuramente era rimasto incastrato sotto il natante; quindi mi accostai e saltai su una punta dell'imbarcazione e in questo modo riuscii a posizionarla verticalmente, manovra che liberò il bambino che riemerse svenuto. Lo presi e lo distesi sul piano del moscone e cercai con due buffetti di rianimarlo prima di praticargli la respirazione artificiale. Intanto erano sopraggiunti altri miei colleghi di salvataggio e insieme portammo il bambino a riva controllando che non smettesse di respirare. Lì ci attendeva l'autoambulanza per trasportarlo in ospedale dove, dopo adeguate cure, tornò alla normalità.
Giuliano Casoli, ex Ferroviere come Tecnico presso le Officine G.R. Rimini.