RIMINI NEL 1943

La mia famiglia era composta dai miei genitori, dai miei nonni materni e da me, una ragazzina di 12 anni. Mio padre si chiamava Mariano e mia madre Ione, mentre i miei nonni materni Ciro e Antonietta.

Durante tutta l'estate venivano fatte esercitazioni per preparare la popolazione a possibili bombardamenti. Quando veniva azionata la sirena per sei volte, poiché noi abitavamo in Viale Principe Amedeo n. 5, che conduceva al mare, uscivamo in fretta e ci avviavamo verso la spiaggia. Ci trattenevamo fino alla cessazione dell'allarme, che veniva segnalata di nuovo con la sirena, e rientravamo a casa.

Il 1° Novembre 1943, giorno di Ognissanti, mia madre era andata alla Santa Messa alle ore 8.00 del mattino, pensando che avrebbe preparato il pasto con tranquillità. Io, che avevo compiuto 12 anni da tre giorni, uscii con mio padre e i miei nonni verso le 11.00 per andare ad assistere alla Santa Messa in centro città. Giunti nei pressi di via Vescovado (oggi via Tempio Malatestiano), sentimmo quattro segnali di sirena (invece dei sei regolamentari) e poi il rombo cupo delle fortezze volanti che si avvicinavano.

Ci infilammo nel più vicino rifugio: era la cantina di un palazzo che era stata rinforzata con travi e sacchi di sabbia. Ovviamente si sperava che le bombe non colpissero il palazzo, altrimenti non ci sarebbe stata salvezza. Si sentivano degli scoppi e tutti aspettavano il segnale di cessato allarme.

Quando uscimmo, ci trovammo in mezzo al caos: pali della luce caduti ostruivano la strada, c'era gente che correva e urlava. Non avevamo ancora alcuna idea dei danni procurati. Mio padre e mio nonno si avviarono subito verso Viale Principe Amedeo per vedere in che stato era la nostra casa, mentre io e mia nonna ci fermammo alcune ore da amici che abitavano in via Clementini. Si trovarono davanti a uno spettacolo orribile: la casa era stata colpita in pieno ed era anche scoppiato un incendio, poiché erano bombe incendiarie.

Cercarono mia madre che videro spuntare tra le macerie nel baratro procurato dalla bomba. Noi abitavamo al secondo piano e la trovarono tra i resti delle scale che non aveva fatto in tempo a scendere. La signora del primo piano si era salvata perché era fuggita immediatamente al suono delle sirene. Facendo l'analisi delle zone colpite, si presume che gli aerei provenissero da Sud-Est dalla parte del mare e, poiché erano inaspettati, colpirono in diagonale la città, facendo un gran numero di morti. In particolare presero in pieno il rifugio presso la Croce Verde in Corso Umberto (oggi Via Giovanni XXIII), dove si erano rifugiate circa 50 persone.

La città si spopolò rapidamente. Noi andammo in campagna al Ponterotto, dove fummo ospitati da mio zio Giovanni, fratello di mio padre. Ogni mattina mio padre e mio nonno tornavano a Rimini e andavano a scavare tra le macerie per recuperare qualcosa che ci potesse servire, perché possedevamo solo ciò che indossavamo quella mattina.

Io non vidi più mia madre: per me è svanita e per molto tempo ho sperato che tornasse ed è rimasta nei miei sogni. Ho saputo molto più tardi che venne portata in cimitero e seppellita provvisoriamente in una tomba messa a disposizione da amici di famiglia, fino a che, dopo la fine della guerra, venne trasportata a Massalombarda, paese di origine dei miei nonni, nella tomba di famiglia.

Siamo rimasti a Rimini fino al 29 dicembre 1943. Era una stagione asciutta e soleggiata. Abbiamo assistito da lontano al grosso bombardamento del 28 dicembre; le fortezze volanti, con il loro rombo cupo, poiché viaggiavano a pieno carico, scortate di solito da una squadra di caccia, brillavano come uccelli d'argento nel cielo sereno e facevano cadere le bombe che sembravano uova d'argento. Fu un bombardamento di grande entità per Rimini che è stata attaccata anche dal mare.

Con mezzi di fortuna, con una vecchia valigia piena di ciò che si era potuto rimediare dallo scavo delle macerie, partimmo per Solarolo, a sei chilometri da Lugo e anche vicino a Faenza, dove abitavano i parenti dei miei nonni materni che ci diedero ospitalità. Così abbiamo avuto anche l'esperienza di sei mesi sulla linea gotica, dove si era fermato il fronte per l'inverno. A Solarolo siamo rimasti con alterne vicende circa sette mesi: abbiamo ricevuto le cannonate delle truppe tedesche che si erano assestate sulle rive di un piccolo fiume, il Senio.

Poiché anche qui è stata colpita la casa in cui avevamo trovato rifugio, ci siamo spostati a piedi in un altro paese distante circa 15 - 18 km, Massalombarda, in cui abitavano dei parenti dei miei nonni materni. Le truppe alleate intanto avanzavano lungo la penisola. Infatti Rimini era stata liberata il 21 settembre 1944. Eravamo nell'aprile del 1945 e ho visto ancora dei bombardamenti poiché, prima di far avanzare le truppe alleate, veniva loro spianata la via con abbondanti azioni aree

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Alla fine di questa odissea (15 aprile 1945) ci asserragliammo nel campanile della chiesa di Massalombarda, sfruttando il calcolo delle probabilità. Venne colpita la chiesa, ma il campanile fu solo investito dalle schegge e ci salvammo tutti. Il giorno dopo arrivarono le truppe alleate di colore che provenivano dalle colonie inglesi: indiani, malgasci. Per ultimi giunsero inglesi e americani, eleganti, con divise ben pulite e stirate e anche in guanti bianchi. Era una visione irreale per un popolo affamato, sporco e impaurito.

F.P.