ANNI TURBOLENTI

Dalla fine degli anni Sessanta al termine degli anni Ottanta l'Italia fu sconvolta da innumerevoli atti terroristici, omicidi e attentati che misero a rischio la stabilità dell'intero Paese. Gli anni Settanta furono definiti gli anni di piombo, contenitori di quella strategia della tensione di cui tanto si parlava. Alcuni di questi fatti criminosi interessarono treni e stazioni e, da ferroviere, fui logicamente molto colpito da quelli che si svolsero in posti che erano da me ben conosciuti, primo fra tutti la strage del 1980 alla stazione di Bologna.

La vicenda che vorrei raccontare non fu un attentato, ma rispecchia il brutto clima che si era instaurato nella vita di tutti i giorni, ambito studentesco compreso. Provocò solo una vittima, ma fu sicuramente un brutto episodio.
La data è quella dell'11 marzo del 1977, più di quaranta anni fa. A quel tempo solo due canali televisivi, appena all'inizio la diffusione delle cosiddette radio libere e logicamente niente internet, cellulari, ecc. Questo per dire che non si era collegati in diretta col mondo come adesso, e per inquadrare bene la situazione in cui venni a trovarmi quel giorno.

Arrivai a Bologna nel primo pomeriggio, il turno prevedeva la ripresa del servizio nelle primissime ore del mattino seguente; quindi brutta alzataccia, ma diverso tempo a disposizione. Giornata grigia, ancora freddo. Al posto di un giretto in centro mi infilo in un cinema a metà della centrale via Indipendenza, tanto per trascorrere qualche ora tranquillo. Prima proiezione pomeridiana, pochissima gente in sala.

A quei tempi l'ingresso avveniva anche durante la proiezione, in qualsiasi momento del film. Per questo rimasi meravigliato, nell'intervallo, nel constatare che praticamente non era entrato nessuno. Strano, pensai. Il film era anche abbastanza di richiamo. Terminata la proiezione mi accingo a uscire, ma il personale del cinema, senza dare spiegazioni, informa che si esce da un'uscita di sicurezza che dà su uno stretto vicolo.

Giro l'angolo e sono in via Indipendenza e qui inizia la mia brutta avventura. È già quasi buio, ma soprattutto non c'è anima viva! Negozi chiusi con luci spente, niente traffico, uno scenario da incubo. Strani rumori in lontananza, un cattivo odore nell'aria, scoppi come di petardi. Frastornato, mi avvio verso la stazione: strada deserta, ma un angosciante andare e venire di camionette della polizia a tutta velocità con agenti armati.

Ancora spari, e comincio a capire che non sono solo lanci di lacrimogeni, ma anche veri colpi di arma da fuoco. Da lì a poco arrivano difficoltà di respirazione, occhi che bruciano e lacrimano in una maniera incredibile. Mi porto un fazzoletto sul viso, ma è quasi inutile. Ancora tanto frastuono nelle vicinanze, urla, stridio di pneumatici. Continuo a non capire cosa stia succedendo, mi è difficile mantenere la calma.

Ho la sensazione che il caos sia alle mie spalle. Quasi senza fiato riesco a raggiungere la stazione. Poca gente, tutta nelle mie condizioni, poi poliziotti e carabinieri con elmetto in testa in tenuta antisommossa. Salgo negli uffici del Capodeposito e qui comincio a conoscere i motivi di tutto quel caos. Mi informano che durante la mattinata in zona universitaria vi erano stati violenti scontri tra studenti di opposte fazioni con l'intervento massiccio della polizia. Nei disordini che ne seguirono uno studente di 25 anni, Francesco Lorusso, fu ucciso da un colpo di arma da fuoco da parte delle forze dell'ordine.

Così nel pomeriggio un grande corteo del movimento studentesco si snodò per le vie del centro e ricominciarono scontri e disordini di incredibile violenza, anche con uso di armi. Strade e piazze in zona universitaria con fiamme e barricate. Furono momenti di tensione anche negli uffici dove mi trovavo in quanto si era sparsa la voce che il corteo aveva l'intenzione di dirigersi verso la stazione. A me fu consigliato di allontanarmi e di raggiungere il dormitorio del Deposito Locomotive, distante un paio di chilometri dalla stazione. Cosa che mi apprestai a fare subito incamminandomi per un sentiero a lato dei binari.

Qui però mi aspettava ancora un attimo di tensione. Era quasi buio e io, coperto da un giaccone scuro con cappuccio in testa e borsa a tracolla, non avevo certo un aspetto rassicurante. Infatti poco dopo essermi messo in cammino, due agenti della Polfer, casco in testa e armi in pugno, mi intimarono l'alt. Con malcelato timore spiegai loro chi ero e cosa stessi facendo. Controllati i miei documenti, mi consigliarono di affrettarmi perché la zona sarebbe potuta diventare pericolosa.

La mattina seguente seppi infatti che gruppi di manifestanti avevano raggiunto la stazione occupando i binari, e assalito a colpi di pietre e sassi l'ufficio della Polfer. Ancor oggi, dopo tanto tempo, si torna spesso a parlare di quegli anni e ci si augura di riuscire a trarre degli utili insegnamenti per evitare di trovarsi ancora in quelle pericolose situazioni.

Luciano Caldari