Franco Fontemaggi, classe 1930, prima di emigrare in Svizzera, abitò nel centrale borgo cittadino della Castellaccia. Nei suoi ricordi rivive il fascino che il cinematografo ha esercitato su di lui, fin da bambino. Una città, quella della sua generazione, che ben poche distrazioni poteva offrire nel tempo libero ai giovani: una di queste per l'appunto era il cinema. Tuttavia per gli appartenenti agli strati più poveri della popolazione accedervi era spesso un agognato miraggio.
Dopoguerra : Il Savoia che venne ribattezzato Cinema dei Partigiani, fu il primo a riaprire in mezzo alla città distrutta mentre il Fulgor era occupato dagli Inglesi che vi proiettavano films nella loro lingua che noi non capivamo. Un cinema in via Gambalunga, che funzionava solo d'estate perché all'aperto, si trovava dove poi sorse il Modernissimo; per evitare di pagare il biglietto con altri compagni ci si arrampicava sui pochi muri del palazzo Gioia, attraversavamo una stanza sventrata, poi in punta di piedi una scala traballante, a quell'altezza ci sembrava di essere in galleria.
Prima della guerra tanti furono i sotterfugi attuati per non pagare il biglietto. Nella hall del Fulgor, fingendo di guardare le foto degli artisti, ci avvicinavamo alla scala della galleria e nell'attimo di disattenzione della maschera ... su di corsa! Oppure mettevamo assieme i soldi perché uno potesse entrare e aprirci una porta di soccorso. O ancora incollavamo due pezzi di biglietti trovati all'uscita. Quando questi sotterfugi erano scoperti da quel burbero di Maciste (la maschera del cinema Fulgor), ci beccavamo uno scapaccione o una pedata nel sedere.
Allora, rossi di collera, ce la prendevamo con l'incolpevole venditore di bomboloni che era sempre appostato, con la sua vetrinetta bianca, davanti all'entrata del cinema e gli gridavamo: Bomboloni con gli scatarracci dentro!, allontanando così eventuali clienti.
Per me la passione per il cinema era cominciata molto prima. Avevo sei o sette anni quando vidi il mio primo film al Palazzo Castracani dai Salesiani, quella volta però con un biglietto vero, per la precisione ricevuto all'uscita dalla messa da Don Baravelli (parroco della Chiesa dei Servi), forse un incentivo. Vi proiettavano il film La febbre dell'oro con Charlot. Ne uscii triste, ma anche entusiasta.
Franco Fontemaggi