Veniero Accreman, 1923-2016, figlio di Capostazione, già Sindaco della città, avvocato penalista, deputato al Parlamento per due legislature, ha lasciato racconti in cui rievoca episodi della sua fanciullezza che segnarono poi il suo percorso di vita.
Comandava il Fascio. Mio padre e tutti i miei zii provenivano da esperienze politiche contrarie al fascismo; tutti avevano avuto a che fare con la prepotenza fascista. Il rancore verso il duce era forte e si esprimeva anche con ingiurie. Era lui che aveva tolto a tutti la libertà. C'erano sì anche racconti di malefatte cittadine di questo o quel gerarca o caporione (anche le cronache di quel tempo erano fitte di ruberie e di episodi sconci e sgradevoli), ma ciò che suscitava in quegli uomini uno sdegno incontenibile era l'impossibilità di esprimere apertamente le proprie idee, di manifestare i propri punti di vista, di discutere con altri le questioni che coinvolgevano la vita di tutti.
Essere obbligati a parlarne nel chiuso di casa, tra loro o con amici fidatissimi (ogni tanto ne compariva qualcuno) era per loro intollerabile come il silenzio a cui bisognava adattarsi, una volta usciti di casa. L'odio per il regime era forte. Mi colpiva l'idealismo di quelle persone; non parlavano di loro tornaconti, non si lamentavano di perdite personali; vivevano tutti in una discreta agiatezza, avrebbero potuto occuparsi di altre cose. Invece erano tutti partecipi di un interesse vivissimo per le cose della comunità. Lì, in quella casa, appresi che mio padre, anni addietro, aveva scioperato e per quel fatto aveva riportato conseguenze gravi.
Nessuno mai si rivolse direttamente a me per narrarmi l'episodio angoscioso, ma io l'avevo ricostruito con esattezza attraverso frammenti di discorsi orecchiati in tante occasioni. Dunque mio padre - dirigente nelle ferrovie dello stato - anni addietro aveva scioperato. Non comprendevo cosa significasse quella parola né mi azzardavo a domandarlo perché veniva pronunciata sempre con fare guardingo. Nella vita intorno a me non c'era sciopero, perciò non capivo. Ma doveva essere qualcosa di cattivo, ambiguo e vietato, poiché aveva generato tristi conseguenze.
Da pezzi di racconti di mia madre e delle zie avevo capito che un giorno mio padre - che era al lavoro - aveva scioperato, e per questo i fascisti l'avevano bastonato e ferito alla testa, imbrattandolo poi con i colori bianco, rosso e verde. Era stato trasportato a casa, e a casa curato segretamente perché non poteva essere trasportato all'ospedale. Non capivo l'azione compiuta da mio padre; però essa era difesa dai miei famigliari. Dunque mio padre - così buono, così civile, così giusto - era stato bastonato e ferito per aver fatto una cosa che i miei difendevano, e che in ogni caso - riflettevo - essendo stata compiuta da lui, non poteva essere cattiva. Nondimeno l'episodio pauroso aveva segnato la mia famiglia; se ne parlava raramente, segretamente.
Veniero Accreman