Il socio Benito Colonna, classe 1937, pensionato FS, nativo della frazione di Rivabella dove tuttora risiede, in questo suo breve racconto rievoca una tecnica che qualcuno, arbitrariamente e pericolosamente, usava nel dopoguerra per reperire risorse alimentari allora carenti.
Anno 1952. Nell'incoscienza propria dell'adolescenza, con miei compagni di giochi di Rivabella avevo imparato da qualche adulto, più incosciente di noi, il modo di scaricare le granate, residuati bellici facilmente reperibili, per procurarci i candelotti di tritolo che erano al loro interno. L'operazione consisteva nello svitare la spoletta del detonatore posta sulla punta della granata così da renderla innocua, ma solo se era in ottone, perché per quella in alluminio si diceva che era alto il rischio di esplosione. Il tritolo ci sarebbe servito, poi, per la costruzione di piccole bombe utili per effettuare la pesca (di frodo) in mare, chiaramente proibita dalla legge... ma erano tempi grami e bisognava pur mangiare!
In zona c'era uno specialista in questo sistema di pesca, mi ricordo il suo nome: Dario. Era un giovanotto grande e grosso, un marinaio appassionato ed esperto anche di ogni altra tipologia di pesca. Col tritolo, un detonatore e una corta miccia, confezionava piccole mine. Di pomeriggio, con il mare in bonaccia, si potevano scorgere a distanza branchi di cefali; lui, con il suo moscone, si muoveva nella loro direzione e noi lo seguivamo nuotando. Giunti sul posto, attendavamo che Dario gettasse le mine. Ne lanciava una in testa al branco, una in coda e una terza più potente al centro.
Dopo che le mine erano esplose e l'acqua si era calmata dal suo ribollire, noi ragazzi attendavamo che schiarisse, poi ci tuffavamo per recuperare il pesce dal fondo marino raggiungendo sei-sette metri di profondità. Qui trovavamo depositati sul fondo in quantità notevole i cefali, tutti circa della stessa taglia. Era un impatto impressionante perché non tutti erano morti e perciò alcuni, presi in mano, davano ancora segni di vitalità. Nel tuffarci, a ogni immersione, ci portavamo appresso una retina così da poterne recuperare almeno una decina per volta. Risaliti, consegnavamo il bottino a Dario che ci ricompensava regalandocene una parte.
Benito Colonna