MILITARI ALLO SBANDO

Il signor Sergio Maestri ci ha consegnato una memoria scritta, che qui pubblichiamo, del defunto padre ex ferroviere Onide (classe 1915), in cui si raccontano le sue vicissitudini durante la II guerra mondiale, che trascorse sotto le armi dal 2 novembre 1940 al 21 settembre 1943.

Sono trascorsi tanti anni e ancora oggi ricordo quei giorni in zona di guerra e la terribile esperienza vissuta.
Facevo parte del 5° Genio Radio-Telegrafisti in zona di operazioni in Yugoslavia, presso il Comando Militare distaccato a Carlopago (Croazia), meta di frequenti attacchi notturni di ribelli. Una notte fummo sopraffatti dalla violenza dell'attacco e dal numero dei ribelli che incendiarono il nostro Comando.

Non avendo via di scampo e conscio del pericolo che correvamo poiché vi era un deposito di armi e bombe a mano all'interno, decisi di buttarmi, come altri militari, dall'unica finestra al secondo piano dell'edificio, finendo sui rami di una pianta vicina. Per nostra fortuna i partigiani ribelli si erano ritirati sulle montagne Gospic, Otocac, Karlovac, Knin e, anche se malconcio, riuscii a salvarmi. Non avendo panni addosso per la fretta di scampare al pericolo, girovagai tutta la notte con altri sventurati alla ricerca di qualche straccio per coprirmi.

Al porto di Carlopago sapemmo del crollo dell'Esercito Italiano e decidemmo con l'aiuto di un pescatore amico di ritornare in Patria, con la sua barca da pesca a vela. Il pescatore, quando fu ora di partire, decise di non venire con noi; tuttavia ci lasciò la barca per prendere il mare. Si unirono al nostro gruppo altri militari e ufficiali italiani che ci confermarono la disfatta del nostro Esercito.

All'una di notte, lasciando dietro di noi colpi di cannone e raffiche di mitraglia, dopo aver caricato l'acqua e quei pochi viveri che riuscimmo a trovare, salpammo affidando il comando dell'imbarcazione al militare Crociati di Viserba, detto Pancia che, essendo marinaio di professione, conosceva le rotte. La traversata durò cinque lunghi giorni poiché il vento era leggero, a volte bonaccia bianca, e si doveva remare.

Le poche derrate alimentari e l'acqua finirono presto, mentre aerei tedeschi sorvolavano a bassa quota la barca; per nostra fortuna ci scambiarono per veri pescatori, poiché la maggior parte di noi restava in coperta per non attirare l'attenzione. Avvistammo il porto di Pesaro alle 3.30 del mattino e decidemmo di abbandonare la barca in mare lasciandola alla deriva, per non essere avvistati dai soldati tedeschi.

Ci calammo in acqua e raggiungemmo la riva a nuoto, sostenendo e aiutando anche coloro che non sapevano nuotare. Una volta a terra, infreddoliti, denutriti e malandati, ci mettemmo alla ricerca di un rifugio che ci fu offerto in un Convento di suore. Le monache ci ospitarono dandoci del caffè caldo, dei vestiti e ci informarono che tutta la zona era perlustrata dai tedeschi e dovevamo fare molta attenzione poiché i prigionieri venivano immediatamente messi sui treni e deportati in Germania.

Dopo avere ben ascoltato queste preziose informazioni, le nostre strade si divisero e dopo esserci augurato buona fortuna, ognuno se ne andò verso la propria terra. Aspettai la notte prima di dirigermi verso la stazione di Pesaro, ove riuscii a salire su un treno merci in fase di rallentamento, che mi portò a Rimini. Un momento prima di entrare nella stazione centrale, saltai dal carro merci in corsa e mi diressi verso la cabina deviatori di manovra; il destino volle che mio padre Egisto, ferroviere al servizio merci, si trovasse in quella cabina per motivi di lavoro.

Quando mi vide, con gli occhi increduli che esprimevano tanta felicità, mi abbracciò e poiché le pattuglie tedesche controllavano la zona e in particolare la stazione, mi diede una divisa da ferroviere, la sua bicicletta e mi disse di andare a casa e, se mi avessero fermato, di rispondere che tornavo dal lavoro: così non avrei avuto noie.

Posso dire di essere scampato alla morte e alla prigionia solo perché la fortuna non mi ha abbandonato. Questa mia storia, anche se in forma succinta, è per ricordare soprattutto ai giovani che la guerra semina solo morte, pianto e distruzione e che nella vita non vi è nulla di più bello della libertà e della pace.

Nella foto del 1965 il Capo Stazione Onide Maestri in piedi, nell'Ufficio Movimento di Rimini, è in compagnia del collega collaboratore di questo Notiziario DLF Virginio Cupioli.

Onide Maestri