RIMINI, RICORDI DEL DOPOGUERRA

L'ex Sindaco Zeno Zaffagnini, primo cittadino a Rimini negli anni 1978 - 1983, in uno dei suoi libri di memorie, Il mio Novecento, ricorda la città, i suoi dintorni e la vita sociale e politica degli anni '50/60 del secolo scorso. Qui ne sono riportati alcuni brani.

Venni a Rimini dalla nativa Imola alla fine del 1952, dovevo fermarmi tre - quattro mesi e invece sono ancora qua e spero di viverci a lungo. Quando arrivai, la guerra era terminata da pochi anni e le tracce della distruzione erano ancora evidenti. Rimini era stata al centro di cruenti battaglie, il fronte vi si era attestato e i bombardamenti da terra, mare e cielo l'avevano distrutta per 80%. È veramente impressionante sfogliare i libri in cui appare Rimini distrutta, ridotta a un cumolo di macerie.

La città mi era apparsa immediatamente diversa da Imola. Essendo arrivato in autunno, ciò che mi colpì fu la divisione fra il centro e la marina, all'epoca una vera scissione in due città. In centro la vita era pulsante, al mare il deserto. Mi hanno impressionato i monumenti di assoluto valore in contrasto con l'edilizia abitativa tutto sommato modesta; scarsi i palazzi patrizi, forse anche a causa delle distruzioni belliche, ma la situazione era anche lo specchio di una società basata su un'agricoltura arretrata, povera e su una pesca che produceva modesti redditi.

Il centro di Rimini aveva sue caratteristiche particolari: i caffè e i bar, ad esempio, avevano ognuno una loro peculiarità. C'era il Bar Commercio, il Caffè Cavour e il Caffè Forcellini che erano frequentati da commercianti e affaristi; al Bar Vecchi, il più antico e rinomato per la sua pasticceria, si davano convegno una certa borghesia delle professioni e alcuni intellettuali; da Raul, invece, si incontravano prevalentemente gli intellettuali di sinistra. Il proprietario di questo locale era un personaggio caratteristico, felliniano direi, di provata fede solcialdemocratica. Vestiva con eleganza sfacciata e nel manifesto che ne annunciava la morte, da lui stesso preparato, era scritto Raul è morto e vi saluta!
Vi erano poi numerosi circoli privati, inavvicinabili per i non soci, nei quali, fra le diverse attività, si sussurrava si praticasse il gioco d'azzardo; si mormorava che in essi non poche fortune personali fossero state dilapidate.

Altre peculiarità cittadine erano i borghi, ognuno dei quali aveva caratteristiche proprie: il Borgo San Giuliano, a nord, oltre il ponte di Tiberio, era anarchico e comunista al tempo stesso, felliniano per i tanti personaggi che lo popolavano, la cui scomparsa ha determinato in parte la perdita delle originarie caratteristiche del luogo. Oggi le tipiche casette da gente marinara sono state acquistate da persone che hanno fatto del vivere lì uno status symbol e del borgo un salotto.

Il Borgo Sant'Andrea, laico e repubblicano, aveva una sua funzione perché era l'ingresso in città dalla campagna e ospitava il foro boario, che faceva da luogo di ritrovo per tutti i commercianti di bestiame e i contadini; con le botteghe di granaglie e le osterie era pieno di vita. Nel tempo c'è stato un appiattimento, il luogo è diventato abbastanza anonimo.

Infine il borgo San Giovanni, di tradizione cattolica (i vecchi dicevano clericale) si trova a sud della città, oltre l'arco di Augusto, nel tratto terminale della via Flaminia. Mostra un'edilizia molto bella, purtroppo rovinata da alcune costruzioni odierne che sono come un pugno nell'occhio. Anche questo borgo è abbastanza sonnolento.

Per la mia attività è stato motivo di sorpresa il grande numero di circoli e case del popolo, nelle quali forte era la spinta alla socializzazione e intensa la vita politica. Di grande impatto erano, per Carnevale, i veglioni rossi: se ne svolgevano molti e su tutti dominava quello di Cattolica, un vero avvenimento che raccoglieva migliaia di persone. Si teneva nei capannoni dell'Arrigoni, famosa azienda di prodotti alimentari conservati, per concessione del proprietario, grande capitalista e leale militante del PCI.

Zeno Zaffagnini