CLEMENTE IL CONCIALANA
(Climent e cuncialena)

Il socio Virginio Cupioli (Tonino), classe 1926, pensionato FS già Capo Stazione Superiore, in questo suo racconto si sofferma su un mestiere in voga ai suoi tempi giovanili: lo scardassatore è un personaggio che a tale lavoro si dedicava.

Era usanza nelle famiglie povere del contado e anche in città recuperare la lana già usata nei materassi dismessi o altro, per acquistare lana fresca appena tosata dagli allevatori di pecore che la vendevano. Per l'utilizzazione veniva preventivamente cardata per togliere i fiocchi esistenti e le materie eterogenee, onde renderla filabile a mano usando il fuso, l'arcolaio, l'aspo e infine con gli appositi aghi allungati fare calze e maglie grezze per i componenti della famiglia, che quando venivano indossate pizzicavano al contatto con la pelle.

Per la scardassatura veniva incaricato Climent e cunciadur (Clemente il conciatore), il più conosciuto artigiano ambulante, che arrivava in bicicletta con il suo scardasso manuale sistemato sulla ruota posteriore su apposito supporto. Lo scardasso era costituito da due tavole uguali lunghe e larghe rispettivamente 80 e 30 cm, di cui una aveva le gambe per poter essere posata a terra e cosparsa di aculei in acciaio posti dal basso verso l'alto, l'altra aveva gli aculei dall'alto verso il basso con sopra due maniglie da presa.

La lana da mondare veniva sparsa sopra gli aculei, indi il conciatore vi sovrapponeva l'altra tavola tirandola a se più volte, finché otteneva filamenti soffici atti alla filatura a mano. Clemente era un uomo molto semplice, abituato a lavorare con le braccia e aveva maturato nelle stesse una forza non comune. Si esprimeva solo in vernacolo, conosceva i soprannomi degli abitanti del circondario e dei ghetti ove si recava a tosare le pecore a richiesta dei pecorai e delle azdore. Se stuzzicato si rilevava un loquace estimatore della femminilità, classificando le belle conoscenti secondo una sua personalissima graduatoria. Non citava quelle meno attraenti.

Quando il lavoro si protraeva, veniva invitato a mangiare dal committente; apprezzava il cibo dell'ospite, dissertava sulle pietanze gustate presso altre famiglie e pronunciava spesso questa allocuzione: Cum ch'iera bun chi fasul sal codghi dla Dalcisa, cum cla era buna la pulenta sla zuala, panzeta e furmai ad pigra dla Marieta, e i gnochet sla fareina mista ad furmanton si siz dla Laurina iera da no scurdè (come erano buoni i fagioli con le cotiche della Dalcisa, come era buona la polenta con la cipolla, pancetta e formaggio pecorino della Marietta, e i gnocchetti con la farina mista di mais coi ceci della Laurina erano indimenticabili).

Quando il discorso deviava verso la politica pronunciava la parola mosca che per lui significava bocca chiusa. Al termine, quando veniva pagato, si accontentava di quanto gli veniva dato: teneva molto all'amicizia e al buon rapporto che era l'etica del suo vivere.

Virginio Cupioli