LE MIE PRIME FS

Il socio Guido Pasini in questo suo racconto ha ripercorso le tappe iniziali del suo servizio lavorativo nelle FS dove ricoprì la qualifica di Capo Stazione. Qui ha ricordato aspetti di vita trascorsi nell'impianto di prima assunzione a Vaiano (1971/1973).

Della vita trascorsa nel casello della stazione di Vaiano mi piace raccontare quanto avvenuto in un giorno di aprile del 1971. Mia moglie non era convinta della mia sistemazione e volle di persona rendersi conto della mia condizione abitativa. Cercai di rinviare tale visita il più possibile finché un giorno, anche per non creare dissapori e approfittando dei lavori che erano in corso sulla linea, con il treno chiamato Freccia dei due mari, Ancona - Livorno, mi venne a trovare.

Da programma lavori, a Vaiano il treno avrebbe sostato e sarebbe stato istradato sul binario di destra (binario illegale). Mia moglie Bruna, che era in attesa del nostro secondogenito, come da accordi, scese dal treno e, attraversati con me i binari, arrivò al casello. Al vedere come ero/eravamo sistemati, si mise le mani nei capelli e, presa la scopa, cominciò a pulire: sotto i letti (le reti) c'era un tappeto di lanugine polverosa e il fornello a gas aveva tutti i colori del mondo. Non lesinò anche una più approfondita pulizia delle poche stoviglie di cui disponevamo. Era anche preoccupata dal tremolio provocato dal passaggio dei treni.

Per il suo ritorno a Rimini, non essendoci treni utili, d'accordo con un collega di servizio, fermammo un treno merci. Chiesi ai macchinisti se potevano dare un passaggio a mia moglie fino a Prato dove avrebbe preso la Freccia dei due mari con cui, senza bisogno di ulteriori coincidenze, sarebbe rientrata a Rimini (richiesta azzardata se giudicata con il senno di poi e da irresponsabile per le condizioni di Bruna: solo salire e scendere la ripida scaletta era un rischio).

Ottenuto il loro consenso, Bruna aiutata dal maestro - così nel gergo ferroviario era definito il macchinista, mentre l'aiuto macchinista era chiamato allievo - salì sul locomotore. Avvertito il collega di Prato che il treno merci si sarebbe fermato per far scendere mia moglie, rimasi in U.M. per seguire la fine del fatto. Tutto andò bene e Bruna arrivò a Rimini come da previsione.

A Vaiano non rimasi ancora per molto. La Direzione Compartimentale accolse la mia domanda di avvicinamento (avevo già due figli) e fui assegnato alla stazione di Savignano sul Rubicone. Essendo C.S. di scorta, fui mandato in trasferta, inizialmente a Bellaria e poi a Bologna San Donato al posto Movimento E. Dal giugno 1973 fui in posto stabile come D.M. a Savignano dopo il tragico scontro avvenuto tra Santarcangelo e Savignano fra un locomotore isolato e un carrello di servizio T.E. (Trazione Elettrica), che provocò la morte di quattro operai e il ferimento di altrettanti che, all'ultimo minuto, riuscirono a gettarsi nella scarpata scampando alla morte.

Fu un tragico errore umano di un collega che era sempre stato corretto e ligio al regolamento. Nel nostro lavoro un errore può essere fatale; non si può rimediare, come potrebbe fare un impiegato gettando nel cestino un conto sbagliato per poi ripeterlo correttamente. Il lavoro ferroviario è un lavoro di equipe; la colpa non è mai di un solo operatore, dipende da una somma di errori che purtroppo sono coincidenti e convergono tutti nello stesso punto.

In quel caso l'errore primo fu del D.M. per non aver prestato attenzione all'ultimo scambio che instradò il carrello sul binario sbagliato rispetto a quello stabilito con il dispaccio scambiato col D.M. di Santarcangelo, ma l'errore fu anche del Capo Carrello che prese per buono e non controllò con attenzione il modulo M32 (circolazione carrelli affidati alla protezione dei D.M.). Anche in questo caso fu la fretta (era fine turno) che rese gli operatori meno attenti e vigili.

Guido Pasini