UN RICORDO DOLOROSO

Estate 1980: agosto appena iniziato, sabato, per me ancora una giornata di lavoro e poi una decina di giorni di ferie. Vista l'ora di presentazione in servizio, prevista a metà mattinata, finalmente un'alzata dove non serve la sveglia a tirarmi giù dal letto. A casa, con calma, la prima colazione, poi con un certo anticipo raggiunsi il Deposito Locomotive. L'impegno prevedeva un'andata e ritorno su Bologna, in preventivo un po' di caldo vista la giornata (di aria condizionata sui locomotori ancora non se ne parlava proprio).

Mi presentai al Capo Deposito distributore che subito mi avvisò che il treno di andata era stato appena soppresso in quanto la stazione di Bologna aveva dei problemi a ricevere tutti i treni inseriti nell'orario; avrei raggiunto la destinazione prevista utilizzando fuori servizio un treno che sarebbe partito da lì a poco e poi avrei effettuato regolarmente il mio treno di ritorno. Mi disse il nome del collega con cui avrei fatto coppia avvisandomi che mi attendeva già in stazione.

Alla mia domanda sul perché di questo cambiamento mi rispose genericamente che non aveva avuto notizie precise, ma che sembrava ci fosse stata una fuga di gas nella cucina del bar ristorante in stazione e che uno scoppio avesse provocato alcuni danni. Raggiunta la stazione, trovai Roberto, il collega, e insieme salimmo sul treno che dopo pochi minuti partì. Con Roberto, qualche anno più giovane di me, si condivideva la passione per il tennis; io non ero certo una prima scelta, le gambe erano discretamente buone, ma le braccia, quelle, erano veramente scarse. Ci eravamo scontrati spesso e il più delle volte ne ero uscito sconfitto.

La prima parte del nostro viaggio fu abbastanza regolare, poi il treno cominciò a effettuare lunghe soste nelle stazioni, anche in quelle in cui non doveva fermarsi. Cercare di avere notizie dell'anormalità fu quasi impossibile, anche il capotreno contattato durante una sosta non fece altro che confermare laconicamente che Bologna non riceveva. Poco prima di arrivare a destinazione, attraverso una radiolina a transistor di un viaggiatore, si ebbe la notizia che lo scoppio di una bombola di gas aveva provocato alcune vittime.

Il treno fu ricevuto negli ultimi binari e, appena scesi, ci rendemmo conto che qualcosa non andava: marciapiedi dei binari deserti, transenne che convogliavano i viaggiatori in arrivo lungo un insolito itinerario, altoparlanti con annunci mai sentiti, strani silenzi e nel contempo rumori fuori dalla norma. Avvicinandosi ai primi binari uno strano odore nell'aria, e poi polvere, grida, sirene, urla.

Grazie al fatto di essere in divisa, superammo alcune transenne e alcuni divieti e arrivammo ad affacciarci sul lato est della piazza antistante l'ingresso principale della stazione. Quello che apparve ai nostri occhi fu una cosa che mai avremmo immaginato di vedere. L'ala ovest del fabbricato della stazione, quella in cui si trovavano il bar, il ristorante e le sale d'aspetto, altro non era che un cumulo di macerie: travi penzolanti, tettoie e pensiline quasi scomparse, tante cose, le più disparate, sommerse da ogni tipo di detriti.

Gru, ruspe, camion, mezzi di lavoro in attività e tante, tante persone che anche a mani nude cercavano tra le macerie di soccorrere le persone rimaste colpite dall'esplosione e ancora sepolte. Un andare e venire di autoambulanze, vigili del fuoco, infermieri, medici venuti da chissà dove, poliziotti, tutti impegnati al massimo in un lavoro immane. Un autobus con i finestrini oscurati da lenzuoli fungeva da raccolta dei corpi per i quali ormai non c'era più niente da fare.

Si intravedevano sul primo binario i vagoni di un treno colpiti dallo scoppio, contro i quali erano stati scaraventati i corpi delle persone che si trovavano nella sala d'attesa e di chi in quel momento passava sul posto. Il pensiero che appena la mattina precedente ero in quel luogo, mescolato a tanta gente che come sempre affollava la stazione, mi procurò un sentimento d'incredulità, di impotenza.

Allontanandoci da quel luogo, in quanto era giunta l'ora di ripartire, incrociammo Egidio, un nostro Capo Deposito; accennammo un saluto a cui non rispose, sembrava non sapesse bene dove andare, con lo sguardo perso. Ne rimanemmo un poco sorpresi, poi pensammo fosse sul posto magari ad aiutare i colleghi nel coordinare il servizio o si trovasse lì per caso. Ritornati in deposito a Rimini, conoscemmo la tragica realtà sulla sua presenza in quel luogo. Era giunto a Bologna per cercare la figlia Flavia, diciotto anni, purtroppo una delle 85 vittime di quello che è stato uno dei fatti più tragici avvenuti nel nostro Paese nel dopoguerra.

Non si è trattato dello scoppio di una bombola di gas, ma di un vile attentato che, ancora oggi, pur con due condanne emesse, appare con tante ombre e con i mandanti del massacro ancora sconosciuti. Ci sono giornate della propria vita che non si riescono a dimenticare; quella del 2 agosto 1980 è per me una di quelle. Roberto è prematuramente scomparso poco tempo dopo, Egidio ci ha lasciati qualche anno fa. A loro un mio caro pensiero.

Luciano Caldari