In questo racconto Elio Biagini (1923 - 2005), già ferroviere e sindaco revisore DLF, ricorda la sua gioventù trascorsa nella frazione di Viserba. Qui si sofferma sulla vita grama di quei tempi.
Sono nato e sono vissuto sempre a Viserba e posso affermare che mi sembra di aver trascorso la mia infanzia in un altro mondo. Ricordo che a Viserba gli abitanti erano pochissimi; eravamo una grande famiglia e ci aiutavamo a vicenda. D'inverno c'era tanto silenzio e tanta fame; il vento di tramontana e il mare mosso erano la nostra musica e la nostra televisione. Si stava chiusi in casa dove c'era tanto freddo e l'unico mezzo per scaldarci era la rola (focolare) con a fianco due fornelli che servivano per cuocere il cibo.
Sulla rola si bruciava di tutto: steli e foglie di granoturco che si portavano a casa dalla campagna dopo la raccolta delle pannocchie, e legna che si andava a raccogliere lungo la spiaggia e che, impregnata di acqua di mare, faceva tanto fumo. La sera ci mettevamo attorno al fuoco, ci si scaldava davanti e ogni tanto ci si doveva girare per scaldarci anche la schiena. Così, facendo la veglia, si passava la serata. Ogni tanto si metteva dentro la burnisa (brace e cenere) qualche patata e si aspettava con ansia che cuocesse in fretta per farne un boccone, ma ogni tanto qualche patata scoppiava, e così addio al boccone.
Quando andavo alla scuola elementare in via Donizetti, io abitavo in via Bezzecca nella casa di mia nonna, la quale per tutto il giorno stava seduta davanti un telaio a tessere. Ogni mattina uscivo dopo aver bevuto una tazza di latte fresco che ci portava tutte le mattine la signora Patota, e che faceva una panna favolosa. Il latte veniva miscelato con una specie di caffé chiamato l'olandese e dentro questo cappuccino mettevo tutta la piada che era rimasta dalla sera precedente.
Prima di andare a dormire, mia mamma preparava per la lunga notte, con un pezzo di legno idoneo, la brace che poi metteva nella suora (lo scaldaletto) che portava poi nel letto dove c'era il prete, un arnese fatto con quattro listelli di legno ricurvo e con un piano protetto da una base di lamiera; su questa poggiava lo scaldino che per prima cosa eliminava l'umidità delle lenzuola e poi rendeva il letto caldo.
Durante la notte c'era silenzio, una pace che però svaniva appena si faceva sentire il fruscio del gelido vento, uno strano rumore che svegliava tutti. Mio babbo, che capiva che ci eravamo svegliati, accendeva la luce e diceva: Ascoltate, fuori stanno segando gli alberi: è gente più bisognosa di noi. Questa era la vita invernale e per la sopravvivenza si facevano tanti sacrifici che, a raccontarli oggi, sembrano favole, frutto della fantasia.
Elio Biagini