UN EX MACCHINISTA

Quella volta che...
Spesso queste parole sono l'inizio di una storia, di un racconto, di un certo episodio che altro non sono che ricordi più o meno lontani che, con il passare degli anni, ogni tanto tendono ad accavallarsi tra loro o a sbiadire un po'. Ricordi che sono diventati parte della nostra vita e che hanno lasciato un segno dentro di noi; a volte sono solo piccolissimi episodi che per un certo particolare ci strappano ancora un sorriso, a volte un piccolo rimpianto o un po' di tristezza. Durante i miei anni di servizio in ferrovia sono tanti i fatti che ho vissuto in prima persona o come semplice spettatore. La vicenda alquanto singolare che vorrei raccontare e che mi crea un certo imbarazzo nel parlarne, visto l'argomento in questione, si è svolta nella stazione di Bologna nei primi anni ottanta.

A Bologna il ritrovo dei macchinisti in arrivo e in partenza era la così detta Camera 20 che si trovava nell'edificio della stazione con l'ingresso sul marciapiede del primo binario. Presenziato dal Capodeposito distributore del servizio, questo luogo serviva per brevi momenti di sosta e riposo tra un servizio e l'altro; nei suoi spazi vi era un distributore di caffé e merendine, in un angolo un vecchio televisore più o meno funzionante. Quella mattina l'orario non era dei più felici in quanto coincideva con il momento in cui il personale delle pulizie svolgeva il proprio compito e non desiderava tante persone attorno.

E allora fuori tutti anche con un certo anticipo rispetto alla ripresa del servizio. Così mi sono ritrovato sul primo marciapiede della stazione insieme a cinque o sei colleghi di altri depositi, qualche viso mai visto, altri più conosciuti. Uno di loro era un tipo abbastanza noto sia per la notevole presenza fisica sia per il carattere diciamo esuberante: sempre a parlare a voce alta ed esprimersi con una certa foga, insomma un tipo con cui meglio non trovare da dire.

Il primo binario era occupato da un lungo convoglio, quasi davanti a noi una porta di salita ancora aperta e proprio di fronte il vetro opaco del finestrino della ritirata (così veniva comunemente chiamato il bagno a quei tempi). Nessuno aveva fretta e, vista la bella giornata, si continuò con le chiacchiere iniziate prima, sempre le solite cose: il servizio diventato più pesante, il contratto di lavoro che non si firma, il campionato di calcio.

All'improvviso dal tubo del bagno cominciò a scendere una cosa che cominciò ad arrotolarsi su se stessa come fosse una grossa corda; volendo fare un esempio un poco più fine, creò come uno di quei castelli che i bimbi in spiaggia, usando la sabbia bagnata, costruiscono con le dita delle mani. Un castello, nauseante e maleodorante che non finiva mai di crescere! La prima reazione di tutti, sorpresi e schifati, fu di fare un passo indietro. Un attimo di silenzio, poi il collega, quello dal fisico possente e dal carattere esuberante, cominciò, anche giustamente, a dare di matto. Urlando e imprecando per l'incredibile maleducazione, posò in terra la borsa di servizio e, facendosi un poco avanti, sibilò un minaccioso: Quando esce gli faccio vedere io!. Pensai: Qui succede un finimondo! Anche perché, se tanto mi dà tanto, pure la persona nel bagno doveva essere sulla stazza del collega! Per un attimo mi passò in testa anche il pensiero di svignarmela, ma poi mi feci coraggio e cercai di mantenere una certa calma.

Ci furono momenti di attesa, come nei duelli di un film western, poi il silenzio fu rotto dal rumore dell'apertura della porta del bagno e... ne uscì una figura alta poco più di un metro e mezzo, avrà pesato sì e no quaranta chili, abbastanza giovane, un visino dolce. Con un tocco femminile si aggiustò la gonna e il colletto della camicetta mentre con una mano si accarezzò i capelli. Si avvicinò un pochino alla porta di salita e, dando una distratta occhiata fuori, incrociò i nostri sguardi sbalorditi e increduli. Prima di rientrare nel corridoio della vettura, vedendoci fissi, come paralizzati, ci lanciò un accenno di sorriso. Rimanemmo a lungo immobili a bocca aperta fino a quando il Signori, si parte! urlato dal conduttore sbattendo le ultime porte in chiusura, ci ridestò dal nostro sbigottimento.

Il treno partì e noi attraversammo con attenzione il binario senza proferire parola. Solo dopo un po' il più coraggioso del gruppo, con tono ironico, bisbigliò al collega che doveva spaccare tutto: Non le hai detto niente, eh?. Come risposta ne ottenne uno sguardo che indusse tutti al più totale silenzio. Ci dividemmo salutandoci solo con un piccolo gesto. Nel salire la scaletta del locomotore sentii l'altoparlante della stazione invitare un pulitore a recarsi con urgenza sul primo binario. Notando il mio sorriso, il collega di turno mi chiese il perché. Te lo racconto poi fu la mia risposta.

Luciano Caldari