BAMBINI E GIOCHI D'ALTRI TEMPI

Quanto sto per raccontare riguarda un avvenimento realmente accaduto nei primi anni del ventesimo secolo, fatto che mette nella giusta luce l'estro e la creatività che ragazzini di altri tempi possedevano, in ciò stimolati dalla quasi assoluta mancanza di giochi preconfezionati, poco diffusi sul mercato e comunque non alla portata delle modeste disponibilità finanziarie delle famiglie di livello medio-basso di quel tempo.

Questa è la vera storia del gatto che provò per primo nella storia dell'uomo, anzi del gatto, l'ebbrezza del volo.

L'episodio si colloca nei primi anni del ventesimo secolo, credo nel 1911, quando a una combriccola di ragazzi di età tra i 7 e i 10 anni, cui apparteneva anche mio padre, venne in mente un'idea fantastica. Premetto che in quegli anni l'entusiasmo per le numerose scoperte della scienza e della tecnica aveva contagiato tutti: i mari erano solcati da navi possenti, sospinte da motori a vapore, il treno si era diffuso ovunque, Guglielmo Marconi aveva scoperto il modo di trasmettere messaggi a grandi distanze con le onde radio e anche l'aviazione, dopo i primi tentativi dei fratelli Wright, faceva i primi passi che l'avrebbero portata allo sviluppo di cui siamo spettatori oggi.

Fatto questo doveroso preambolo, torniamo a quei ragazzi cui accennavo prima, nel cui gruppo c'era, come già detto, anche mio padre, con un ruolo che, considerata la notevole genialità dimostrata in tante occasioni e la sua buona manualità, doveva essere di prim'ordine. Ricordo che mio padre mi parlava di aerei venuti dall'estero (Blériot, Farman) e di un certo pilota Manissero che eseguiva brevi ma inebrianti voli assieme a qualche facoltoso passeggero (mi pare che uno di questi fosse la famosa diva del cinema muto Lyda Borelli).

Detto fatto i suddetti ragazzi si misero in testa di fare volare almeno un gattino, il cui peso modesto forniva sufficienti garanzie di buon successo e, maestri nella confezione di aquiloni, dopo avere rimediato carta velina, colla di farina, canne dal vicino canneto e cordelline varie, si misero alacremente all'opera. Ne venne fuori un bell'aquilone che, per le prestazioni che gli venivano richieste, era di dimensioni un bel po' più grandi del normale.

Una scatola da scarpe, appesa all'ossatura portante dell'aquilone con le suddette cordelline, fungeva da navicella atta a ricevere il gattino prescelto per quella impresa che, ignaro del destino che lo attendeva, si lasciava docilmente coccolare e farsi anche mettere al collo un bel nastro rosso, degno coronamento dell'evento di cui, di lì a poco, sarebbe stato protagonista.

Non c'era nel gatto nessuna diffidenza, certamente rimossa dal fatto che doveva da qualche tempo essere diventato la mascotte del gruppo. A dire il vero ci fu qualche resistenza allorquando si accinsero a collocarlo nella navicella. Ma ormai il gioco era inesorabilmente avviato e non si poteva tornare indietro: il conto alla rovescia era cominciato!

Tirava una buona brezza e l'aquilone, disposto nel campo in modo da poter correre contro vento, prese il volo raggiungendo una buona altezza. Non è dato sapere cosa pensasse il gatto di quanto gli stava accadendo, ma ben presto lo si scoprì quando, percorso tutto il campo, i ragazzi si dovettero fermare e, venuta meno la portanza supplementare dovuta alla corsa, l'aquilone prese nuovamente terra.

I ragazzi festanti si avvicinarono alla navicella, slegarono il gatto che, in risposta ai dubbi circa il suo stato d'animo, schizzò via come un fulmine, sempre con il suo bel nastro rosso al collo.

Alla rievocazione di questo divertente episodio, debbo aggiungere che si tratta ancora una volta di un ricordo di mio padre, allora fanciullo, quel tale Alessandro di cui, per vostra benevola disponibilità, è stato pubblicato qualche tempo fa sul periodico bimestrale del DLF una sua memoria di ben diverso tenore e drammaticità.

Il figlio Gian Carlo Lotti (ex ferroviere)