Il caldo e la fatica si fanno sentire. Molti si ritirano, De Stefano preferisce abbandonare: troppa fatica dopo aver scalato Montevergine e i vari saliscendi fra l'Irpinia e il Sannio, troppo sudore per stare dietro a quel diavolo di Manfredi. Cade De Furia, rimangono in tre a disputarsi la volata finale di Viale Melluso a Benevento. Giardino si fa da parte, lascia che sia Di Rubbo a vincere. Ma Manfredi non ci sta, dà fondo a tutte le sue energie e con un guizzo brucia sul traguardo l'antagonista, aggiudicandosi la coppa.
Io c'ero. Ricordo che Manfredi cadde a terra dopo il traguardo e noi accorremmo per sollevarlo; era rattrappito e nero per lo sforzo, disidratato e incapace di reggersi in piedi. Ci spaventammo, non lo avevamo mai visto così, ma il campione ce l'aveva fatta ancora una volta contro tutto e contro tutti, li aveva messi in fila, come aveva promesso a se stesso, dimostrando di essere lui il più forte. Questo era Manfredi.
Si è fermato con gli occhi lucidi, il ricordo di quei momenti l'aveva coinvolto completamente. Guardi, guardi qua, mi ha detto il vecchio libraio, indicandomi un libro consumato dal tempo sulla sua bancarella.
Non ci sono poesie sulla bicicletta, che io sappia, almeno sui ciclisti, su questi eroi che affrontano tutti gli ostacoli da soli, con qualsiasi situazione atmosferica, incuranti di pioggia, freddo o caldo, pensando solo a vincere, a quel momento magico del traguardo; non c'è un dopo, solo quell'attimo è il fine di tutto. Quella, guardi, è una vecchia antologia scolastica. La apra a caso. La apra a caso, tanto lo so già che aprirà la solita pagina, l'ho fatto migliaia di volte. Ecco, la apra lei, leggiamo insieme le prime righe di questa poesia che, credo, non conosce quasi nessuno, è del Pascoli; cosa vuole, io mi commuovo nel leggerla ancora adesso. In questa poesia c'è tutta la vita che viene attraversata con un sottofondo semplice, un dlin, dlin, che è il suono della bicicletta. Legga come si chiude, legga qui.
Dlin, Dlin,
Mia terra, mia labile strada,
sei tu che trascorri o sono io?
Che importa? Ch'io venga o tu vada,
non è un addio!
Ma bello è quest'impeto d'ala,
ma grata è l'ebbrezza del giorno.
Pur dolce è il riposo. Già cala
la notte: io ritorno.
La piccola lampada brilla
per mezzo all'oscura città.
Più lenta la piccola squilla
dà un palpito e va.
Stavolta si è asciugato gli occhi, incurante di chi passava e vedeva un uomo anziano che piangeva; anch'io ero a disagio, non sapevo cosa dirgli. Gli ho stretto la mano. Lui ha solo aggiunto, a mo' di commiato: Manfredi si allenava di notte, pedalava con la pila accesa, per le vie buie. Sembrava proprio lui il protagonista di quella poesia.
Pompilio Parzanese