Il socio Guido Pasini ripercorre la sua carriera ferroviaria. Ci rileva come dopo l'assunzione con la qualifica di Capo Stazione e i corsi per le abilitazioni a Bologna, si fosse poi trovato a dover scegliere la sede di primo impiego solo fra impianti disagiati e lontani da Rimini dove risiedeva da sempre.
Raggiungere via ferrovia da Rimini le stazioni di Godo e Russi era scomodo e problematico soprattutto in alcuni orari per mancanza di coincidenze; perciò optai per la stazione di Vaiano, l'ultima stazione del Compartimento di Bologna sulla linea Bologna - Firenze, a pochi chilometri da Prato. Da Rimini, ultima stazione sud - est del Compartimento, a Vaiano, ultima stazione sud - ovest.
Con me a Vaiano furono destinati altri 3 C.S. provenienti da Sicilia, Marche e Lazio. Dal C.S. Titolare fummo sistemati, provvisoriamente, nel magazzino merci, mentre per i pasti ci recavamo in un vicino bar-ristorante. I primi giorni di servizio, affiancati dai C.S. già in forza alla stessa stazione, furono emozionanti.
L'impianto di Vaiano era costituito dai due binari di corsa, dal primo binario atto al ricevimento dei treni accelerati e all'uscita dal raccordo della Sottostazione Elettrica e del Servizio Lavori e da un lungo binario per le precedenze. A Vaiano fermavano pochi accelerati, gli odierni locali, mentre sfrecciavano tantissimi treni.
La linea, la più tecnologicamente avanzata per quell'epoca, era dotata per il distanziamento dei treni, di blocco automatico e di D.C.O. (Dirigente Centrale Operativo) ed era la principale direttrice nord - sud. Ricevuto il segnale acustico e luminoso dalla limitrofa stazione di Vernio, lato Bologna, o di Prato, lato Firenze, il dirigente, se nulla lo impediva, si limitava alla formazione dell'itinerario azionando apposite leve poste sul banco di manovra, aprendo i segnali per il transito dei treni. Ci si recava nell'apposita vedetta per presenziare al passaggio dei convogli che era pressoché continuo.
Non c'era tempo di annoiarsi o pensare alla famiglia, l'impegno era costante. In aggiunta c'era anche l'impegno della biglietteria - si vendevano soprattutto biglietti a cartoncino già predisposti - aiutati dal manovale di turno che era il collaboratore fisso di ogni D.M. (Dirigente Movimento).
Ricordo il monito del Titolare riguardo la paletta di comando: Attenti quando alzate la paletta; è un movimento semplice che comporta grandissima attenzione: fatelo solo quando avete espletato tutti i cinque controlli richiesti dal protocollo.
Ogni Impianto Ferroviario ha i suoi lati deboli e le sue particolarità che l'esperienza acquisita in prima persona facendo servizio svela. C'erano anche a Vaiano naturalmente, ma furono di aiuto le raccomandazioni e le dritte date dal Titolare, soprattutto quelle di portare particolare attenzione riguardo il binario di raccordo con gli altri servizi (lavori ed elettrici). Dopo alcuni turni col C.S. tutore, ottenni il nulla osta per esercitare autonomamente il servizio, e così avvenne anche per gli altri colleghi.
Purtroppo la sistemazione che ci era stata offerta era da sfollati. Lato Prato, attraversando i binari e dopo gli scambi di stazione, era presente un casello disabitato. Chiesto al sig. Titolare se fosse stato possibile averne l'uso, questi ci rispose che era un casello affidato al servizio lavori ed era difficile, se non impossibile, il prestito ad altro servizio, nel nostro caso al servizio movimento.
Ma mai disperare; con il patrocinio del babbo che conosceva un Capo Tecnico Linea, suo ex compagno di studi che aveva giurisdizione su quel tratto di linea, riuscimmo a ottenere l'uso del casello. Lì ci sistemammo sufficientemente bene, rimediammo un fornello a gas, alcune reti, alcune sedie e un tavolo. Il casello era vicinissimo ai binari e quando passavano i treni sussultava come se fosse in atto un terremoto e anche il rumore era forte. In breve tempo mi abituai a questa situazione mentre, sembra quasi paradossale, lo scoppiettare di un motorino circolante sulla pubblica via mi turbava il sonno pomeridiano che precedeva il turno notturno.
Nel casello la coabitazione iniziò nel migliore dei modi: chi di noi quattro non era in servizio preparava il pranzo per tutti cosicché, smontando dal proprio turno, l'unica incombenza era scaldare il cibo e sedersi a tavola. Anche i cibi erano vari perché ognuno ci metteva il suo estro culinario regionale. Ma come in tutte le coabitazioni l'idillio durò poco; non solo smontando dal servizio non c'era niente da mettere sotto i denti, anche il tegame e il piatto dovevano essere lavati prima di potersi mettere a tavola. Per non parlare poi delle pulizie essenziali. Io mi arrangiavo correndo a casa ogni fine turno e rientrando con i rifornimenti.
Nel casello non c'era il riscaldamento e l'unico modo per avere un po' di calore era quello di mettere sul fornello a gas un pentolone pieno d'acqua che, portata a ebollizione, sviluppava tanto vapore e umidità. Non era il massimo, ma nella stanza si mitigava il freddo.
Guido Pasini