UN SERVIZIO AVVENTUROSO

Il socio Benito Colonna, classe 1937, pensionato FS ex macchinista, rievoca in questo scritto un episodio accadutogli durante una trasferta. Prestava in quel periodo ancora servizio militare presso il Genio Ferrovieri, corpo che veniva anche impiegato in caso di sciopero per garantire la circolazione di determinati treni.

Durante uno sciopero del personale ferroviario, a me come macchinista e al mio collega Gammaidoni come fuochista, fu ordinato di recarci a Foggia per effettuare un treno su Napoli. Avevamo esperienza sulla linea Torino - Chivasso - Aosta, ma di qualsiasi altra, compreso quella che dovevamo affrontare, proprio non ne sapevamo nulla. Per fronteggiare la situazione dovevamo fare appello a tutto il nostro senso di responsabilità e a quella poca esperienza ferroviaria che avevamo.

Giungemmo la sera al Deposito Locomotive di Foggia. Cenammo alla mensa del Deposito facendo amicizia con diversi macchinisti che, bloccati dallo sciopero, loro malgrado dovevano restare fuori casa. Il mattino dopo, riposati, dopo un'abbondante colazione, ci informammo della conformazione della linea ferroviaria che ci interessava. Il Capo Deposito in persona ci illustrò tutti i particolari e il funzionamento della locomotiva che dovevamo utilizzare, una 740, simile a quella che normalmente usavamo sulla nostra linea, ma molto più grande. Cominciammo a preparare la macchina.

Per effettuare questo benedetto treno, dovevamo attraversare tutta la dorsale appenninica. Non avevo paura, ma sentivo tutto il peso della responsabilità. In condizioni normali sarebbe stato molto più semplice. Ora, con i segnali chiusi, stazioni disabilitate, una montagna di prescrizioni da leggere mettendole in ordine in base alla linea, occorreva tenere veramente occhi aperti e orecchie diritte. Studiai come meglio potevo tutte le indicazioni utili sul libro orario.

Usciti per tempo dal Deposito Locomotive con quel bestione di macchina, arrivati in stazione in testa al treno, sbrigate le operazioni con il permesso del Capo Stazione, ci recammo a mangiare al ristorante che si trovava sul marciapiede del binario a fianco. Il pranzo era gratuito. Ci furono servite delle lasagne alla bolognese che erano la fine del mondo. Alla fine ringraziammo e ci avviammo al nostro dovere. Era appena passato mezzogiorno.

Al via del Capo Stazione, fra la curiosità della gente, in mezzo a sbuffi di fumo e vapore, partimmo per affrontare la dorsale appenninica. Stavamo affrontando la grande curva che dalla litoranea porta verso l'interno quando fummo richiamati dal fischio di un treno che proseguiva per Bari: era un collega su di una 685. Nel nostro andare attraversavamo luoghi così sperduti fra i monti che solo raramente si vedeva qualche gregge di pecore. Posti da lupi.

Giunti a Benevento, dove dovevamo incrociare un altro treno, una piacevole sorpresa: mi sentii chiamare per nome. Ma chi mai poteva conoscermi in quella località se non c'ero mai stato? Curioso, nel girarmi verso la voce, incontrai lo sguardo di un ex geniere di leva con cui avevo avuto rapporti di amicizia a Torino. Ci abbracciammo contenti di esserci ritrovati. Quando il treno cominciò a muoversi, pareva una festa; tutti i presenti, e non erano pochi, accompagnarono la nostra partenza con incitamenti e saluti.

Poco oltre gli scambi d'uscita della stazione, ci infilammo in una galleria in discesa che avevo rilevato dall'orario di servizio essere lunga una decina di chilometri. Non potevo leggere la velocità di marcia sul tachigrafo in quanto la locomotiva era priva di illuminazione. Nel buio di quel lungo budello di cui non si scorgeva l'uscita, dovevo regolare la velocità a orecchio in base allo sbattere delle slitte: quelle slitte che, collegando le bielle motrici ai pistoni, permettono di trasformare il moto alternativo del pistone in moto rotatorio delle ruote.

All'interno della galleria il fumo lasciato dal treno che avevamo incrociato, ci rese difficile la respirazione. Fortunatamente avevamo i fazzoletti al collo che, bagnati con l'acqua del tender e appoggiati sulla bocca, filtrando l'aria ci permisero di respirare abbastanza bene. Ad un passaggio livello, di un paesino sperduto fra i monti, mentre con difficoltà arrancavamo in salita, alcuni esaltati, mentre urlavano inveendo come forsennati che eravamo dei crumiri, ci scagliarono contro sassi e mattoni, colpendo la cabina di guida più volte.

Mentre alzavo la leva del regolatore per aumentare la velocità, gridai a Gammaiadoni: Abbassati, ripariamoci dietro le lamiere della cabina perché se ci colpiscono con qualche mattonata sono guai. Cominciava a far buio e una fitta pioggerella già da un po' ci faceva compagnia. Quella benedetta salita sembrava non finire mai. Finalmente, avvistato un antico acquedotto romano, vi leggemmo la scritta culmine e intuimmo che da quel punto iniziava la discesa verso Napoli. Il buio della notte non ci faceva più paura, il cielo sereno era pieno di stelle.

Arrivare a Napoli divenne una passeggiata: ormai la linea era tutta in discesa e la nostra marcia era facilitata non poco. Dopo circa mezz'ora, giù in basso verso il mare, la città illuminata ci stava a indicare che la meta non era lontana. Giunti in stazione, ci istradarono su un binario tronco a fianco degli altri due treni a vapore con personale del Genio che erano giunti prima di noi, provenienti da località diverse.

Benito Colonna