IL MERCATO SUL CORSO
(E marchè se cors)

Il socio Virginio Cupioli (Tonino), pensionato FS, ex Capo Stazione Superiore, classe 1926, ricorda in questo suo scritto quello che nella sua gioventù era, per le attività commerciali e collaterali che vi si svolgevano, il principale luogo di attrazione della popolazione cittadina e del comprensorio.

La popolazione dei dintorni era solita recarsi per fare acquisti (scarpe, biancheria, suppellettili, terraglie e altri oggetti di uso quotidiano) te marché se Cors, dove si parlava in vernacolo e il contatto fra le persone era quasi intimo. Le trattative, favorite dalla spontaneità individuale, erano lunghe e insistenti per ottenere un prezzo più basso. Le persone semplici del contado erano restie a entrare nei negozi, pensavano che avessero prezzi più alti e che al buteghi di padrun (le botteghe dei padroni) fossero riservate al ceto medio e alla borghesia.

I banchi degli ambulanti occupavano lo spiazzo di fianco al Teatro e quello davanti al Castello. Molte mamme vi si recavano per comprare le scarpe da tennis di tela con fondo gommato, usate dai figli durante il periodo estivo, che si annerivano quasi subito e che venivano ripassate con la biacca. Vari ambulanti, per lo più toscani, offrivano merci scadenti (piatti, tegami, biancheria...) a prezzi vantaggiosi, esponevano pile di oggetti diversi e, per stimolare l'acquisto, offrivano un oggetto in regalo (coperta, pentola...) cioè come si dice in dialetto, la cherna ad lodla (la carne di allodola). Molte persone si fermavano attirate anche dai loro coloriti inviti e poi abboccavano: decisivi erano il prezzo basso e il regalo; l'eventuale difetto non impediva l'uso dell'oggetto acquistato.

Altri capannelli si formavano a osservare le farse delle macchiette, i saltimbanchi, i giocolieri e girovaghi forzuti a cui certamente si ispirò Fellini per il personaggio di Zampanò nel film La strada. Si esibivano anche declamatori delle argute poesie dialettali di Giustiniano Villa, ciabattino di San Clemente, ritenuto uno dei più grandi poeti dialettali d'Italia, ammirato ed elogiato dal Pascoli che lo aveva ascoltato alla Montagnola di Bologna.

Egli leggeva sui giornali i fatti politici e la cronaca, osservava il comportamento delle persone e notava i loro difetti, le qualità e le credenze; trasformava il tutto in poesie dialettali e le declamava nelle piazze della Romagna in piedi su uno sgabello. I contadini semplici e analfabeti lo ascoltavano ammirati e compiaciuti, unitamente alle persone colte che apprezzavano il genio in vernacolo e alla fine tutti compravano il foglietto con le sue rime.

Altri crocchi ascoltavano suonatori con organetti e cantanti che allietavano i presenti con vecchie canzoni ottocentesche e contemporanee. Non mancavano i cantastorie che, davanti a un tabellone formato da vignette che illustravano un fatto di cronaca, con una canna le indicavano e facevano la cronistoria cantando e raccontando con enfasi i momenti atroci e lieti della vicenda che appassionava gli spettatori. Tutti alla fine passavano con un piattino a ritirare l'obolo offerto volentieri.

Fra tutta questa folla giravano i venditori ambulanti improvvisati che portavano su se stessi gli oggetti in vendita. Erano poveri cristi indigenti. Conosciutissimo era Silvio Crostelli, detto Bigulin: teneva le cravatte in mostra sul braccio teso, le stringhe e le cinture sulle spalle, le stilografiche nel taschino. Simpatico a tutti, col suo immancabile farfallino, riusciva a vendere a molti che compravano anche per solidarietà. Mangiava poco, era quasi trasparente; era sufficiente un bicchiere di vino per renderlo arzillo, cantava nei vicoli fino a tarda notte e viveva alla giornata.

Una caratteristica di piazza Cavour era la presenza dei mediatori del circondario nei giorni di mercato; qualcuno vestiva tradizionalmente con capparella (mantello) e zannetta (bastone ricurvo). Sostavano dentro e davanti al caffé vicino alla Pescheria scambiandosi notizie; sapevano tutto degli atti pubblici e privati del momento e chi aveva bisogno di fare un affare si rivolgeva a loro, sicuro di concludere ciò che voleva. Erano temuti dai politici perché mettevano il becco anche nell'Amministrazione pubblica: la loro era la voce del popolo.

Virginio Cupioli