UN MONDO SCOMPARSO

Ero giovane e forte a quel tempo, pieno d'entusiasmo per la vita dinamica che conducevo nelle giornate libere dal lavoro (a quel tempo viaggiavo come aiutante macchinista su treni con locomotive a vapore, rapidi e direttissimi, sulla linea Torino - Milano). Da solo o in compagnia dell'amico Franco, pure lui aiutante macchinista, oppure nella bella stagione con le famiglie, vivevamo una perenne avventura a contatto diretto con la natura in tutte le sue espressioni.

La fortuna mi aveva favorito alquanto nel farmi avere come sposa e compagna di vita un'amante della natura, con la quale condividevo le passioni: caccia, pesca e funghi, e una figliola che con la sua vitalità ed entusiasmo ci seguiva felice nelle nostre scorribande per boschi e monti, lungo fiumi e torrenti.

Desidero descrivere particolarmente uno dei luoghi che sovente frequentavo. Bello era sentirsi parte di un mondo selvaggio, in località La Loggia, paesino sulla riva sinistra del Po, a non più di cinque chilometri da Torino sud, dove a quel tempo abitavo. Enormi pioppeti, come guardiani, costeggiavano la sponda del fiume, su cui innumerevoli volatili (tortore, colombacci, rigogoli, stornelli, codibugnoli) facevano udire la loro presenza con canti e richiami.

In quel tratto che va dalla diga della Loggia fino a Carignano e oltre, fin dove il conte di Cavour fece scavare un nuovo letto del Po per raddrizzarne il corso, ma lasciando intatta la vecchia via d'acqua ricca di acquitrini, si poteva immaginare di trovarsi in una zona selvaggia di chissà quale paese lontano.

Molti tratti di quelle sponde erano formati da isolotti e da acquitrini dove salici e canne palustri dominavano il paesaggio. Rane, zanzare, bisce e innumerevoli volatili acquatici come anatre, folaghe, gallinelle d'acqua, nitticore, aironi cenerini, sgarzette, tarabusi, tarabusini erano padroni incontrastati della scena.

Alberi caduti, dai rami contorti e spogli, ormai inglobati nel fango, ergevano le loro dita adunche fuori dall'acqua, rivolte al cielo, muta testimonianza della continuità della vita oltre la morte.

In quell'ambiente, forse ostile per altri, ma che io consideravo amico, mi sentivo immerso in una natura vera dove i sensi si acutizzano, in un'atmosfera in cui l'individuo come singolo scompare e ha la sensazione di essere una particella dell'universo.

Tante volte me ne restavo accovacciato, immobile, fra giunchi e canne palustri, trattenendo perfino il respiro per non molestare o spaventare gli abitanti dell'acquitrino. Attento a spiare il comportamento delle creature nel loro ambiente naturale, gustavo appieno il piacere della loro presenza. Uccelli acquatici che avevano costruito i loro nidi galleggianti fra il canniccio, di quando in quando facevano udire i loro canti e richiami amorosi. Spiavo i genitori uscire allo scoperto, pronti a lanciare il loro grido d'allarme e indurre alla precipitosa fuga la prole appena si fosse presentato qualche pericolo.

Nuotavano adagio, ognuno col proprio seguito, conducendo i piccoli verso le pasture più ricche e insegnando loro la maniera di nutrirsi con le erbe palustri e con gli insetti. A volte, scorgendomi, i genitori lanciavano il loro allarme; ero uno spettacolo vedere tutti quei batuffolini reagire prontamente e scappare veloci seguendo i genitori nel folto della vegetazione acquatica.

Era un mondo particolare: fischi, squittii, voli planati sull'acqua o radenti, la vegetazione, abitanti alati dai differenti colori e comportamenti. A volte venivo richiamato dall'insolito splash di enormi carpe che battevano la superficie dell'acqua con la loro coda.

Benito Colonna