In questo scritto Elio Biagini, 1923/2005, già ferroviere e sindaco revisore al DLF, collaboratore del nostro Notiziario, così si esprimeva ricordando la sua infanzia trascorsa a Viserba. Di queste e altre memorie il figlio Roberto fece poi pubblicare un libro Racconti Viserbesi.
Ogni casa era provvista di mastello che serviva per fare il bucato e alla domenica si trasformava in vasca da bagno. Si metteva sul fuoco un paiolo d'acqua e, mentre questa si scaldava, ci si svestiva e in piedi dentro il mastello ci si lavava con l'aiuto della mamma. Finito il bagno, se in casa c'erano altri fratelli o sorelle, uno alla volta saltavano dentro al mastello; la mamma provvedeva ad aggiungere ancora acqua calda e così la domenica mattina si faceva la pulizia generale.
I miei nonni, Francesco e Palma, hanno dato alla luce sei femmine e un maschio. Per loro la vita era lavoro e chiesa; tutti i giorni il primo lavoro era quello di andare alla messa e quando tornavano a casa, ognuno al proprio lavoro. Mio nonno, al banco di lavoro con pialle e scalpelli, era sempre intento a fabbricare mastelli o riparare porte, carriole o altre cose. In primavera, quando c'era poco da fare, partiva con i suoi attrezzi e si recava nelle case dei contadini a fare tutti quei lavori di cui avevano bisogno. Finito il lavoro da un contadino, passava da una casa all'altra e stava fuori diverse settimane; quando tornava, mostrava alla nonna tutto il suo ricavato ed essa tutta contenta nascondeva il gruzzolo in un posto segreto.
Mia nonna, oltre ad accudire la casa, faceva tanti altri lavori; andava nelle case dei signori a fare il bucato e tenere in ordine la casa. Quando dava alla luce un figlio, aveva tanto latte che ne nutriva anche un altro, perciò le portavano ad allattare bambini dei signori di Rimini; aveva poi il pollaio con galline e conigli e cercava sempre di avere galli perché, quando era il momento giusto, molto prima di Natale, li rendeva sterili per farne dei bei capponi che vendeva per Natale; uno lo teneva per dividerlo con le figlie che non avevano la possibilità di comprarlo.
Mia nonna era anche una donna magnanima. Aveva dei vicini di casa che erano in assoluta indigenza; quando si faceva sera, la Ernesta si presentava da mia nonna con un piatto sotto braccio e le chiedeva un po' di farina per fare la piada, perché chi burdel i na gnent da magne (quei bambini non hanno niente da mangiare). Allora mia nonna prendeva il piatto e lo infilava dentro la matra (la madia) e lo riempiva di bianca farina; dentro il piatto metteva anche qualche uovo e, quando era sull'uscio, chiedeva a mio nonno un po' di ricci per accendere il fuoco.
In quei tempi le famiglie in condizioni simili erano numerose e in tante case si soffriva la fame. D'inverno gli uomini erano senza lavoro e il pomeriggio si rifugiavano nelle osterie e il vino che bevevano lo segnavano, sperando di saldare il conto quando lavoravano; la sera quando tornavano a casa, spesso ubriachi, vedendo che a tavola c'era poco o niente, si infilavano a letto e dormivano tutta la notte.
Elio Biagini