Un secolo fa, dal 7 al 13 giugno 1914, l'Italia fu scossa da un evento insurrezionale che venne chiamato Settimana rossa. L'avvocato, repubblicano, riminese, Oreste Cavallari diede questa versione di quegli avvenimenti in città.
Dal 7 al 13 giugno 1914 l'Italia fu in subbuglio. Pietro Nenni, Errico Malatesta e Benito Mussolini, il repubblicano, l'anarchico e il socialista, volevano romperla definitivamente con l'Italia di Giolitti e di Salandra, un'Italia che disprezzavano dal profondo del cuore. I tre si erano visti a Rimini ove nell'albergo Cavour in piazza avevano concertato e la domenica 7 giugno, in occasione della festa dello Statuto, ad Ancona ci fu la prima fiammata.
Proibita una manifestazione antimilitarista al mattino, nel pomeriggio vi fu un comizio di protesta. Parlano Pietro Nenni ed Errico Malatesta. I due si danno a sciabolare contro tutto e tutti. Se la prendono soprattutto contro i processi per diserzione e contro le compagnie di disciplina. La folla è eccitata. I carabinieri la stringono. Parte un colpo, un altro e, alla fine, si contano i morti, tre. Immediatamente viene proclamato lo sciopero generale in tutta Italia ma attacca solo in Romagna perché altrove, dopo qualche fiammata, si spegne.
È, insomma, la settimana rossa. I dimostranti se la prendono con le ferrovie, con le chiese, con il dazio. A Cesena e a Ravenna proclamano la repubblica. È una settimana di orgia parolaia. Lascia, però, il segno proprio su chi la promosse: Nenni, Malatesta e soprattutto su Mussolini.
A Rimini le cose si tennero al meno peggio. I dimostranti se la presero contro due guardie di PS, poi con un passante che durante un comizio in piazza se ne stava a curiosare, contro la farmacia Duprè che ebbe i vetri rotti. A sera, per precauzione, si tenne la città al buio. Il mercoledì cominciò lo sciopero ferroviario. I dimostranti incendiarono il ponte sull'Ausa, le vetture, i pali telegrafici, distrussero i fanali della Stazione, tentarono di bruciare la porta del Duomo e fecero scoppiare una bomba nelle vicinanze del Seminario. Presero poi d'assalto il negozio dell'armaiolo Fava e la manifattura Santarelli, spargendo terrore fra tutti i negozianti.
Tennero la città in loro balìa. Carabinieri e agenti di PS erano presi a sberleffi e fischi. Ferirono un carabiniere nel borgo San Giuliano. Fu dato fuoco alla porticina del Tempio Malatestiano, fu tentato di incendiare il Tempietto di Sant'Antonio, la cancelleria vescovile e la porta del Municipio e, alla fine, attaccarono gli uffici del dazio, bruciando registri, bollette e prendendo fucili e carabine. Insomma anche a Rimini fu repubblica.
La forza pubblica si tenne per quanto possibile in disparte per non aggravare la situazione. Nessun riminese uscì di casa, nessuno aprì negozi e botteghe. Tutti temevano il peggio da quella massa di scamiciati vogliosi di barricate. Quando seppero della cessazione dello sciopero, i dimostranti non ci credettero e se la presero con il Governo reo d'avere inventato, a loro dire, la falsa notizia. Verità dicasi che la rivoluzione era, per così dire, una rivoluzione all'italiana, senza capo ne coda ne uno che la guidasse a un risultato concreto. In sostanza, la settimana rossa fu a Rimini un insuccesso.
Oreste Cavallari